Il trattato di Maastricht va riformato. Serve una Europa più sociale

trattato di Maastricht

Ricorre l’anniversario del trattato di Maastricht. Il 7 febbraio del 1992, nella piccola città olandese di Maastricht 12 Stati europei, tra i quali i paesi fondatori della CECA, hanno firmato l’omonimo trattato dando vita all’Unione europea e chiudendo la stagione della Comunità economica europea.

Con il trattato di Maastricht, gli Stati membri hanno assunto dei precisi impegni economici e finanziari, gli stessi di cui abbiamo sentito parlare tanto nel decennio scorso con la crisi dei debiti sovrani tra il 2013 e il 2014 causata dalla bolla speculativa americana, implosa nel 2008 con conseguenze devastanti a livello mondiale.

Il trattato di Maastricht, a lungo, ha imposto politiche liberiste e di austerità all’Unione europea. Per rimanere nell’eurozona i paesi firmatari avevano assunto l’obbligo di rispettare due importanti vincoli per tenere in ordine i conti pubblici e garantire una parità di bilancio di stampo ottocentesco.

I paesi hanno dovuto rispettare per anni due parametri:

  • il rapporto debito/Pil al di sotto o pari al 60 per cento;
  • il rapporto deficit/Pil al di sotto o pari al 3 per cento.

Anche sacrificando investimenti sociali e soprattutto tagliando all’osso la spesa pubblica. Una stagione non facile e che l’Unione europea non ha voluto fortunatamente replicare con la pandemia di Coronavirus.

Sono intervenuta in Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo durante la discussione degli emendamenti sul Pacchetto d’Autunno. Il testo, elaborato sul 2021 per il 2022 dalla Commissione europea, sono convinta contenga prospettive di crescita eccessivamente ottimistiche.

La inflazione corre. E rischia di erodere il potere d’acquisto dei lavoratori e delle famiglie al contempo mettendo in enorme difficoltà imprese e territori.

Trattato di Maastricht, riforma indispensabile per una Europa più sociale

Trent’anni dopo è ora di riformare il Trattato di Maastricht. Per il Movimento 5 Stelle la nuova governance economica dell’UE deve focalizzarsi su tre assi.

  • Innanzitutto, bisogna rivedere il Patto di Stabilità e Crescita prima che sia disattivata la clausola di salvaguardia, escludendo gli investimenti verdi e sociali dal calcolo del deficit.

In tal modo, si potrà anche affrontare la questione del debito accumulato durante la pandemia, evitando il ritorno alla austerità per garantire una ripresa sostenibile.

  • Occorre poi dare piena attuazione al Pilastro europeo dei diritti sociali., adeguando il semestre europeo con nuovi indicatori. E riconoscendo ai ministri del Lavoro la stessa dignità politica dei ministri dell’Economia nell’ambito delle decisioni assunte in Consiglio Europeo.

Infine, a fronte della forte spirale inflazionistica in atto, un intervento della BCE sui tassi potrebbe non bastare per rispettare l’obiettivo del 2 per cento:

  • rendendo necessario un coordinamento delle politiche fiscali, ormai indispensabile per garantire una redistribuzione più equa della ricchezza e la lotta al dumping fiscale.

Oggi, più che mai, dobbiamo accettare il diritto dei cittadini di misurare noi in quanto decisori politici, ma anche l’Unione per le risposte che saprà garantire per il benessere collettivo e il bene comune.