ChatGPT e AI, opportunità di sviluppo: l’Ue garantisca diritti e lavoro!

ChatGPT e AI

Il Garante per la Privacy italiano ha detto stop a ChatGPT. La decisione, che secondo molti isola l’Italia dal resto del mondo, in realtà è una misura cautelativa che ha di fatto aperto un importante canale di dialogo tra aziende, come Open AI di Elon Musk – comunque multinazionali e in regime di oligopolio sul mercato – e le autorità che hanno il compito di vigilare sul rispetto dei diritti sociali e civili individuali e collettivi. I fondamentali di una democrazia compiuta.

CHE COS’È CHATGPT E PERCHÉ IL GARANTE È INTERVENUTO

Dal giorno del debutto, ChatGPT ha suscitato un enorme interesse negli italiani. Tanta la curiosità per le potenzialità insite in questo nuovo strumento d’intelligenza artificiale che sono convinta non vada soffocato ma governato. Il compito di elaborare regole chiare ed efficaci sull’intelligenza artificiale, e prima ancora sull’automazione, spetta naturalmente al Legislatore europeo e nazionale.

Affinché l’intelligenza artificiale che da almeno un decennio è presente nelle nostre vite e in molteplici ambiti della società non si trasformi in una minaccia per le libertà e i diritti fondamentali della persona. Le cautele quindi sono d’obbligo, poiché a oggi l’intelligenza artificiale e le aziende che investono nella ricerca e nello sviluppo di robot, programmi, tool per il web godono ancora di una ampia deregulation anche se tocchiamo già con mano alcune controindicazioni negli ambienti di lavoro, per la privacy o la protezione delle opere dell’ingegno.

L’AI PIACE MA SPAVENTA PER IL FUTURO DEL LAVORO

Secondo un’analisi della società di ricerca Comscore, a gennaio, il sito di Open AI.com, da cui era accessibile il chatbot di intelligenza artificiale, è stato tra i primi 150 siti e app più visitati nel nostro Paese. Acronimo di Chat Generative Pre-trained Transformer, ChatGPT è un prototipo di intelligenza artificiale sviluppato da Open AI, una società di ricerca (un tempo non-profit, ora multinazionale) che promuove lo sviluppo delle cosiddette “AI amichevoli”, ovvero “Intelligenze” che dovrebbero contribuire al bene dell’umanità. In qualità di chatbot, questo strumento si esprime grazie a un sofisticato modello di machine learning, una capacità di apprendimento automatico che immagazzina ed elabora grandi quantità di dati e informazioni.

Proprio la perdita di parte di questi dati, ha portato il Garante per la privacy a bloccare il software, impedendo il trattamento dei dati degli utenti italiani da parte di OpenAI. Il Garante rileva la mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi da cui dipendono il funzionamento della piattaforma.

NECESSARIO REGOLAMENTARE

Al di là delle critiche mosse nei confronti della decisione presa dal Garante, secondo le quali lo stop a ChatGPT lascerebbe l’Italia indietro rispetto agli altri paesi nello sviluppo e nell’utilizzo delle tecnologie di intelligenza artificiale, ritengo che questo episodio sia rappresentativo di quella eccessiva deregulation di cui da molti anni gode l’intelligenza artificiale e le aziende madri.

Tracciare dei binari, quindi, è un obbligo politico, morale, etico, sociale ed economico. Tante sono le implicazioni dell’intelligenza artificiale nella società moderna. Sono convinta che le regole sull’intelligenza artificiale debbano prediligere sempre la dimensione etica ma soprattutto antropocentrica perché quello scenario non più tanto distopico delle macchine che si sostituiscono all’uomo sia scongiurato.

Naturalmente, desta molta preoccupazione l’utilizzo massiccio dell’intelligenza artificiale negli ambienti di lavoro. E sono convinta che sia già molto evidente il legame tra intelligenza artificiale e il lavoro. Il Parlamento europeo, e la Commissione Occupazione e Affari sociali in particolare, si è fatto promotore della necessità di governare la rivoluzione digitale ed in particolare i fenomeni connessi all’intelligenza artificiale rispetto al lavoro.

AI E LAVORO, NUOVI DIRITTI DA TUTELARE

Occorre innanzitutto prendere atto che l’innovazione tecnologica corre ad una velocità tale che ogni cittadino dovrà avere l’opportunità di essere costantemente aggiornato sui cambiamenti degli strumenti e sulle loro funzioni. Per questo a livello europeo sono impegnata affinché si riconosca il diritto alla formazione permanente che prevede azioni di re-skilling e up-skilling. Altro tema chiave è il lavoro ubiquitario che rischia di destrutturare – oltre la prestazione lavorativa in sé – le relazioni sociali e familiari. Si tratta del lavoro senza luogo fisico e senza orario di lavoro prestabilito. Un concetto più ampio di quello che cerchiamo spesso impropriamente di ricomprendere sotto il nome di smart working.

Come legislatori europei abbiamo già espresso la volontà di definire questa nuova modalità di espletamento dell’attività lavorativa attraverso il riconoscimento di una serie di diritti. Primo tra tutti quello alla disconnessione. Inoltre, nel quasi completo vuoto legislativo ai livelli nazionali, l’Unione Europea deve tutelare gli addetti della gig economy impedendo la disumanizzazione del lavoro che deriva proprio dall’uso disinvolto degli algoritmi e sistemi d intelligenza artificiale.

In definitiva, se è chiaro che di questi strumenti non potremo più fare a meno, i cambiamenti a cui andremo incontro sono tanti e tali che non basterà adeguarsi o innovarsi individualmente. Bisognerà farlo in modo collettivo, senza lasciare indietro nessuno. Solo così l’intelligenza artificiale potrà rappresentare un’opportunità per tutti i cittadini. Trovando nel mondo del lavoro una dimensione nella quale potere alimentare conoscenza e utilità.