Diritto alla disconnessione, una direttiva UE contro la “Babele” sullo smart working

diritto alla disconnessione

Nell’Unione europea si sta diffondendo una certa consapevolezza sulla necessità, per non dire l’urgenza, di normare il diritto alla disconnessione.

Come sappiamo dai dati raccolti su base europea e nazionale, durante la fase acuta della pandemia il numero degli occupati che ha svolto il suo lavoro da remoto è aumentato in una misura senza precedenti.

In Italia, c’è stato un balzo: con appena 2 milioni di smart worker a 9 milioni di lavoratori a distanza nel 2020 e infine a 7,2 milioni nel 2021.

In Europa la percentuale è passata dal 5 per cento del periodo pre-pandemia all’attuale 12,3 per cento.

Smart working, un processo in rapida evoluzione

L’avvento di nuove forme di flessibilità nel mercato del lavoro, in particolare rispetto al luogo e ai tempi di svolgimento delle mansioni era già iniziato da tempo.

Tuttavia la tendenza all’innovazione era nel complesso piuttosto contenuta anche a causa di resistenze di natura culturale che spesso legano il lavoro alla logica del controllo da parte del datore di lavoro.

Con il Covid-19, invece, lo smart working è diventato l’unico modo per portare avanti moltissime attività private e servizi pubblici.

Nonostante ciò, non possiamo effettivamente parlare ancora di una vera e propria trasformazione dei modelli di organizzazione del lavoro, poiché la maggior parte degli smart worker lavora da remoto in modo informale. Utilizzando strumenti propri.

Sono convinta però che il lavoro agile, presto o tardi, traghetterà il settore privato e quello pubblico verso un modello sociale e occupazionale inedito. I cui limiti vanno risolti già da ora.

Il venir meno della dimensione dello spazio e del tempo, ad esempio, costituisce uno dei principali vantaggi dello smart working ma al tempo stesso rappresenta anche uno dei suoi aspetti più controversi.

La riflessione europea sul diritto alla disconnessione

La diffusione del fenomeno è tale da non poter più rimandare un intervento appropriato da parte del Legislatore.

Il Parlamento UE e quelli nazionali hanno il dovere di anticipare il cambiamento. Non possono limitarsi a rincorrerlo, quando ormai è troppo tardi.

Per questo all’Eurocamera, a gennaio dello scorso anno, abbiamo chiesto alla Commissione di proporre una direttiva sul diritto alla disconnessione.

Per fornire un quadro normativo armonizzato che prevenga la “Babele” delle leggi nazionali molte delle quali introdotte nel pieno dell’emergenza sanitaria.

Un anno dopo, il diritto alla disconnessione viene riconosciuto come diritto fondamentale. La Commissione infatti ha pubblicato una Dichiarazione sui diritti digitali.

Il diritto alla disconnessione è però un diritto sociale e civile che affonda le sue radici nel passato. Già nel 1919 l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) riconosceva la durata massima dell’orario di lavoro.

No alla “Babele” normativa

Al momento Belgio, Spagna, Germania, Irlanda, Portogallo e Francia disciplinano tutte in modo differente il diritto alla disconnessione.

L’Italia si è limitata all’enunciazione di un principio. Per il settore privato ha  introdotto dei Protocolli che lasciano lo smart working ancora agli accordi individuali e volontari tra aziende e dipendenti.

Credo che stia emergendo sul tema una relativa frammentazione normativa. Che purtroppo non è priva di rischi.

Dobbiamo fare in modo che non si creino le condizioni per porre in essere nuove forme di dumping sociale.

Ed è per questa ragione che ritengo sia quanto mai necessario armonizzare queste singole iniziative in un quadro normativo europeo che imponga alle imprese e alle pubbliche amministrazioni le medesime regole sulla salute e la sicurezza degli smart worker.

Perché dobbiamo evitare differenze di trattamento sia tra le imprese – autonome su come organizzare lo smart working – sia tra i diversi Stati dell’Unione.

 

Non è solo una questione di dumping sociale

Il nuovo rapporto realizzato congiuntamente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) denuncia l’aumento di casi di burn out tra i lavoratori, disturbi di ansia e depressione.

Tra le raccomandazioni fornite dalle due Organizzazioni per limitare le conseguenze negative del lavoro agile sulla salute dei lavoratori è stata indicata proprio la definizione di regole chiare sul diritto alla disconnessione.

Un mercato del lavoro “duale”- diviso tra chi timbra il cartellino e una volta finito l’orario d’ufficio può dedicare del tempo a sé stesso e alla propria famiglia e chi resta sempre connesso- non è accettabile.

Il semestre francese è il momento giusto per agire

Dobbiamo convincerci che lo smart working non è affatto uno strumento ‘buono’ solo per l’emergenza.

Il modello di organizzazione del lavoro così come la nostra generazione lo ha conosciuto sarà ben presto superato.

Elaborare un quadro normativo comune sul lavoro agile è un atto necessario soprattutto nei confronti delle giovani generazioni.

Sono convinta che il semestre di presidenza francese sia il momento migliore per agire.

La Francia già da tempo ha dimostrato una particolare sensibilità sull’argomento: è infatti lo Stato precursore che ha introdotto per primo una legge sul diritto alla disconnessione, già nel 2017.

Come Movimento 5 Stelle pensiamo che rimandare oltre l’adozione di una direttiva non sia più possibile.

Nel rapido processo di digitalizzazione del lavoro che stiamo vivendo abbiamo bisogno di tutele certe che valgano per tutti.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
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