Sentenza GKN, forte segnale di speranza: stop a delocalizzazioni selvagge

sentenza GKN

Il 15 settembre scorso, assieme al presidente del MoVimento 5 Stelle, Giuseppe Conte e alla vice ministra allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde, ho preso parte al presidio permanente organizzato dal collettivo di fabbrica della GKN di Campi Bisenzio. Lo stabilimento di proprietà del fondo anglosassone Melrose ha deciso di chiudere l’attività senza darne comunicazione alcuna ai sindacati.

Il fatto ancora più grave è che la GKN ha avviato una procedura di licenziamento collettivo – in totale 422 dipendenti, tutti operai specializzati – inviando prima un messaggio whatsapp in un periodo in cui i lavoratori si alternavano con le ferie, infine, una mail. Impedendo qualsiasi contestazione o l’esercizio del diritto di sciopero.

Sentenza GKN, importante precedente che dà speranza

Nei mesi scorsi, i lavoratori della GKN sono più volte scesi in piazza per chiedere lo stop ai licenziamenti, fino alla sentenza del 20 settembre scorso, pronunciata dal Tribunale di Firenze, che ha ridato speranza ai 422 operai specializzati.

I giudici del lavoro hanno parzialmente accolto il ricorso presentato dalla Fiom-Cgil contro il licenziamento collettivo della GKN, dando ordine all’azienda di revocarlo.

La sentenza ha prodotto un duplice effetto, e costituisce un precedente importantissimo. I giudici del lavoro di Firenze infatti hanno ricordato che ci sono diritti riconosciuti ai lavoratori che un’azienda o multinazionale non può violare, come ha fatto l’azienda di Campi Bisenzio.

Secondo il Tribunale infatti la GKN non ha rispettato l’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, peraltro dimostrando di non avere alcuna etica imprenditoriale. L’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori, come è noto, punisce la condotta anti-sindacale.

Di fatto, la GKN ha adottato il licenziamento collettivo, non informando in modo congruo i sindacati e i lavoratori.

Sentenza GKN, la più completa de-regolamentazione danneggia i lavoratori

Come precisa la sentenza l’iniziativa economica deve deve restare libera, a sancirlo è l’articolo 41 della Costituzione. Credo che sia sbagliato immaginare di punire la libertà di stabilimento.

Il Paese sarebbe così esposto al rischio di una fuga di capitali. O peggio ancora perderebbe attrattività agli occhi degli imprenditori stranieri. Facciamo pur sempre parte di un sistema globalizzato e interdipendente, in cui l’Italia sta lavorando per agganciare una solida crescita post pandemica.

L’altro principio importante che possiamo ricavare dalla sentenza GKN è che la completa de-regolamentazione danneggia i lavoratori, e ne viola diritti e tutele giuridiche. Lo Stato italiano e l’Unione europea non possono permetterlo.

Sono convinta che le Istituzioni, i sindacati e i lavoratori debbano creare un fronte comune per impedire e soprattutto prevenire delocalizzazioni selvagge. In particolare all’interno del mercato europeo. Lo stesso vale anche per le chiusure aziendali improvvise, di cui siano all’oscuro lavoratori, rappresentanti o gli stessi enti locali.

Necessaria la riforma Todde-Orlando per fermare l’emorragia delle delocalizzazioni

Adesso la priorità è mandare in porto la proposta avanzata dal Ministro del Lavoro, Andrea Orlando e della viceministra del MISE, Alessandra Todde, sulla responsabilità sociale d’impresa, per combattere la logica “usa e getta” e delineare un percorso ordinato per le aziende che non sono in crisi e che chiudono anche dopo aver ricevuto aiuti pubblici.

Da quando sono al Parlamento europeo ho avviato una durissima battaglia contro dumping e delocalizzazioni. Sempre più aziende decidono di spostare la produzione altrove anche quando non ci sono perdite economiche o dissesti gravi. Le delocalizzazioni infatti servivano un tempo ai gruppi imprenditoriali per aumentare la reddittività. Ora non è più solo così.

Per scoraggiare le delocalizzazioni selvagge, sono convinta che sia necessario approvare il prima possibile il salario minimo europeo. Allo stesso tempo però è importante revocare ex lege i fondi pubblici a tutte le multinazionali che non rispettino i diritti dei lavoratori e che prendono decisioni che impoveriscono il tessuto produttivo del territorio in cui operano.

Tutte e due sono azioni politiche indispensabili per proteggere non solo le imprese italiane ma anche per rendere più equo il mercato interno europeo.

Propongo inoltre di fare un passo ulteriore. L’Unione europea infatti avrebbe bisogno di una normativa organica in tema di licenziamenti. Le multinazionali per operare in Europa devono adottare una etica imprenditoriale che sappia coniugare la redditività degli azionisti con la tutela dei lavoratori e dei territori.

Senza dimenticare quel tassello in più: il Reshoring

Unitamente a questo tipo di azioni, abbiamo anche bisogno di una normativa che agevoli il “reshoring”, ovvero il rientro delle grandi imprese che hanno spostato del tutto o in parte la loro produzione all’estero.

Perché ciò avvenga, è necessario pensare a una fiscalità vantaggiosa nei confronti delle aziende che rappresentano un valore aggiunto importante per il Paese.

Per il Movimento 5 Stelle si tratta di una battaglia storica e personalmente ritengo che l’Italia, seconda forza manifatturiera europea, non possa rimanere fuori anche da questa riflessione.

 

 

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Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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