SURE, perché è importante che diventi una misura strutturale in Europa

SURE

La pandemia ha costretto l’Unione Europea e il mondo intero ad affrontare una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti. E probabilmente gli effetti si faranno sentire ancora a lungo. Fin da subito era chiaro che il blocco prolungato di centinaia di attività produttive e della gran parte dei servizi avrebbe creato ripercussioni in ambito sociale e occupazionale.

Allo stesso modo, era altrettanto chiaro che i singoli Stati non avrebbero potuto sostenere da soli i costi necessari a garantire la cassa integrazione a milioni di lavoratori colpiti dalla crisi. Serviva un intervento comune che testimoniasse la volontà dell’Europa di sostenere gli Stati membri in un momento tanto complesso.

 

Che cos’è SURE?

L’Unione europea dunque per proteggere l’occupazione nell’eurozona è intervenuta con uno strumento ad hoc. Strumento che ha preso il nome di SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency). Con una dotazione complessiva di 100 miliardi di euro sotto forma di prestiti agevolati, il nuovo strumento, entrato in vigore nel settembre 2020, ha offerto un sostegno economico finanziario temporaneo agli Stati membri per accompagnare l’incremento della disoccupazione e la riduzione dell’orario lavorativo soprattutto tra gli autonomi.

Dopo i primi sei mesi dall’entrata in vigore, è apparso evidente quanto SURE fosse fondamentale per mantenere alti i livelli occupazionali in Europa. Secondo una prima stima della Commissione europea, infatti, le persone che hanno ricevuto tale sostegno sono state tra i 25 e 30 milioni, di cui 21,5 milioni di lavoratori dipendenti, 5 milioni di autonomi e tra 1,5 e 2,5 milioni di imprese.

 

Perché è stato importante per l’Italia

L’Italia è stata uno dei primi beneficiari delle risorse europee a sostegno dell’occupazione. Il nostro Paese, infatti, ha ricevuto già tutte le tranche di erogazione del fondo, per un totale di 27,4 miliardi di euro. Con cui ha fornito un sostegno al 34% della forza lavoro. Erogando la cassa integrazione e i bonus previsti per i lavoratori autonomi, dello spettacolo, agricoltori e lavoratori stagionali.

Allo stesso tempo, lo Stato ha potuto riconoscere i congedi parentali o ancora i  voucher baby-sitter, essenziali per tutti quei genitori che lavorando da casa o dovendo necessariamente recarsi al lavoro, hanno avuto difficoltà a coniugare le esigenze lavorative con quelle della vita familiare durante l’emergenza sanitaria. Il rapporto della Commissione europea, a fine marzo 2021, ha evidenziato come grazie alle risorse ricevute, l’Italia sia riuscita a risparmiare un importo pari a 2.853 miliardi di euro sui 21 miliardi ricevuti fino al 2 febbraio 2021.

La linea dell’Italia sul blocco dei licenziamenti

Il nostro Paese è stato anche uno dei pochi in Europa a mettere in campo una moratoria sui licenziamenti che ha permesso di evitare profonde lacerazioni sociali ed economiche.

Ora che il blocco è stato parzialmente rimosso, mantenendolo solo per alcuni settori particolarmente sofferenti a seguito della crisi provocata dal Covid-19, l’Italia si prepara ad approntare la riforma degli ammortizzatori sociali. Il 4 agosto scorso il ministero del Lavoro ha pubblicato criteri e principi di orientamento.

L’obiettivo sulla carta sembra essere quello di un modello di Welfare State inclusivo con ammortizzatori per tutte le imprese e i lavoratori, diversificati a seconda delle dimensioni aziendali.

Perché tale meccanismo di sostegno possa funzionare nel migliore dei modi, però, credo che siano necessarie sin da ora risorse adeguate.

 

Perché rendere SURE uno strumento permanente

Al momento non conosciamo i costi della riforma in programma. Ma di una cosa sono convinta: è fondamentale che il sostegno all’occupazione da parte dell’Unione europea non venga ritirato. Solo così potremo evitare ulteriori effetti negativi sia sull’economia sia sull’occupazione.

In tante occasioni mi sono espressa sull’importanza di SURE e sulla necessità di renderlo uno strumento permanente, superando la logica emergenziale del momento.

In un mio editoriale pubblicato su “Affari italiani”, nel mese di novembre 2020, spiegavo già chiaramente gli indiscutibili punti di innovazione e di forza di SURE rispetto ad altri meccanismi europei adottati in passato.

Per la prima volta, l’Europa ha reso concreto un mezzo di condivisione del debito. Esso oltre a essere fortemente attrattivo per i mercati finanziari, agli Stati che ne hanno fatto richiesta non imponeva alcuna condizionalità. Se non quella di utilizzare tali risorse per finanziare politiche sociali legate al lavoro.

 

 

 

SURE si è rivelato subito un successo

Così com’è strutturato, SURE è la cosa che più si avvicina agli “Eurobond” che, come Movimento 5 Stelle, abbiamo chiesto d’introdurre sin dallo scoppio della pandemia. Ritengo dunque che SURE abbia rappresentato un successo per l’Europa, per diversi motivi.

  • In primo luogo, ha aumentato la fiducia generale nella capacità dell’Unione di rispondere efficacemente a una crisi di portata storica.

Sebbene la dimensione sociale non rientri nelle competenze esclusive dell’Unione, SURE rappresenta uno strumento innovativo di assistenza finanziaria esclusivamente a dimensione sociale.

  • In secondo luogo, il suo utilizzo ha incoraggiato il ricorso a politiche del lavoro a tempo ridotto da parte delle imprese e ha consentito ai paesi beneficiari di spendere maggiormente per il sostegno all’occupazione.

 

Il futuro di SURE

Per tali ragioni ho accolto con soddisfazione le dichiarazioni rilasciate dal Commissario all’Economia, Paolo Gentiloni e dal Commissario al Lavoro, Nicolas Schmit, il 28 giugno scorso, durante la riunione congiunta delle Commissioni Econ-Empl.

«Sicuramente rifletteremo su rendere SURE uno strumento permanente», ha affermato Schmit. Mentre Gentiloni ha aggiunto che una discussione sul futuro di SURE è più che possibile.

Rendere SURE uno strumento strutturale a disposizione degli Stati è cruciale. Permetterebbe infatti di fornire in modo organico e sistematico un importante sostegno economico-finanziario comune, ogni volte che l’Unione europea è costretta ad affrontare una crisi.

La pandemia ha messo tutti davanti alla necessità di guardare oltre. E di immaginare un futuro diverso, con occhio lungimirante e una sana dose di realismo.

Per questo ritengo che il dibattito nazionale ed europeo debba guardare più lontano. In particolare per individuare i settori in cui un meccanismo di sostegno sul modello SURE è oramai imprescindibile. Perché non approntare dei “green bond” o dei “digital bond”. Oppure analoghi strumenti per quei settori produttivi oggi particolarmente sotto pressione come agricoltura, trasporti, energia, o determinate categorie di aziende come le PMI? Non dimentichiamo infatti il cammino avviato dall’Unione europea verso la trasformazione ecologica e digitale.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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