Algoritmi, l’UE sceglie la trasparenza. Il governo Meloni la sacrifica

Algoritmo

Il governo Meloni non ha particolarmente a cuore il lavoro di qualità ma anche il benessere stesso dei lavoratori e delle lavoratrici, quando, all’ostruzionismo sul salario minimo, aggiungiamo anche la liberalizzazione dei contratti a termine e il ritorno di fiamma per i voucher ma oggi anche l’indifferenza per gli effetti negativi degli algoritmi. Ebbene sì, la maggioranza di governo ha deciso di abrogare una novità introdotta con il Decreto Trasparenza, d.lgs. n. 104/2022. La notizia, passata in sordina, mi ha subito colpita visto il mio lungo lavoro svolto al Parlamento europeo e i traguardi legislativi raggiunti negli ultimi mesi per garantire nuove norme sull’accessibilità e la trasparenza degli algoritmi.

Il decreto Lavoro, su cui ho nutrito subito forti dubbi, è stato convertito in legge il 29 giugno scorso. Nel testo, una disposizione ad hoc abroga la norma introdotta col Decreto Trasparenza e che definiva l’onere di informare e di rendere accessibile gli algoritmi, impiegati dalle aziende per la selezione del personale, ai lavoratori e alle lavoratrici assunte oltre che ai rappresentanti sindacali.

Gli algoritmi stanno diventando sempre più pervasivi. Hanno fatto la loro apparizione nel mercato del lavoro con l’avvento della gig economy e il boom delle piattaforme digitali oggi leader indiscussi nel settore in espansione del food delivery. Anche altre grandi aziende scelgono di ricorrere sempre più spesso agli algoritmi per selezionare il personale da assumere, mentre definiscono modalità e tempi delle prestazioni di lavoro.

GOVERNARE LA TECNOLOGIA PER TUTELARE IL LAVORO

Non sono di certo contraria all’avvento delle nuove tecnologie né ai cambiamenti pure inevitabili che riguardano e riguarderanno da vicino il lavoro. Non sono favorevole però che non si governi la tecnologia e l’intelligenza artificiale, che come molti casi di cronaca hanno dimostrato in questi anni, possono incidere negativamente sui lavoratori e le lavoratrici e in generale sul lavoro di qualità.

La critica alla scelta del governo Meloni con la Legge Lavoro è avvalorata dal fatto che l’Unione europea ha iniziato a muoversi in una direzione completamente opposta per impedire invece che l’utilizzo degli algoritmi in un contesto di ancora eccessiva deregolamentazione possa avere conseguenze negative sul futuro del lavoro.

Secondo quanto previsto dalle nuove norme appena approvate dal Governo italiano, infatti, gli obblighi informativi sono previsti solo in presenza di sistemi ‘integralmente’ automatizzati e specifica che tali obblighi non si applicano ai sistemi protetti da segreto industriale e commerciale.

Il Decreto Trasparenza, che ha recepito la Direttiva Europea sulle condizioni di lavoro eque, trasparenti e prevedibili, apriva invece la strada verso una maggiore trasparenza resa dunque obbligatoria nel caso di utilizzo di sistemi di monitoraggio ‘algoritmici’. Un intervento legislativo da leggere in chiave estensiva e non restrittiva, seguito non a caso anche da pronunce giurisprudenziali favorevoli, e molto utile per spingere prima di tutto le piattaforme digitali a rendere accessibili gli algoritmi utilizzati per la selezione del personale, il controllo e la valutazione delle prestazioni di lavoro.

Risultato? Il governo Meloni ha fatto un bel regalo alle piattaforme digitali.

ALGORITMI OPACHI FAVORISCONO LO SFRUTTAMENTO DEL LAVORO

In più occasioni, ho ribadito che non dobbiamo e non possiamo ostacolare la trasformazione digitale e tecnologica che dal 2013, quando le prime piattaforme digitali sono sbarcate in Europa e in Italia, sta cambiando il mercato del lavoro. La pandemia Covid-19 ci ha dimostrato che il lavoro digitale ha enormi potenzialità ed è stato importante durante il periodo più difficile dell’emergenza sanitaria. Allo stesso tempo non possiamo permettere che continuino a esistere vuoti normativi che in tutti questi anni hanno lasciato campo libero ad algoritmi opachi e pervasivi.

Le pagine dei giornali si sono riempite di casi di sfruttamento, caporalato e paghe a cottimo, vietate dal nostro ordinamento giuslavoristico. Ma anche forme di concorrenza sleale che danneggiano le imprese nazionali.

Per questo è importante poter fare affidamento su regole chiare circa il funzionamento degli algoritmi. I sindacati devono avere un ruolo chiave. O almeno lo avrebbero avuto se il governo Meloni non avesse abrogato la norma di cui vi sto parlando. Intanto io continuerò a portare avanti al Parlamento europeo l’idea di definire meccanismi specifici di ispezione e di controllo sugli algoritmi, comprese le App impiegate dalle piattaforme digitali. Non vogliamo che si perpetrino discriminazioni, abusi, e violazioni dei diritti e delle tutele fondamentali dei lavoratori.

IL LAVORO DELL’UE SUGLI ALGORITMI 

Giusto per permettervi di farvi una idea della distanza che c’è tra le politiche per il lavoro delle destre italiane e quelle realizzate dall’Unione europea: vi ho già raccontato dell’importante risultato raggiunto il 7 giugno scorso, quando il Consiglio europeo dei 27 ministri del Lavoro ha trovato un accordo sulla direttiva lavoratori delle piattaforme riconoscendo tra le altre cose la necessità di garantire maggiore trasparenza sull’uso degli algoritmi per monitorare e valutare le prestazioni di lavoro. Nelle conclusioni del Consiglio europeo infatti gli Stati membri hanno messo nero su bianco che i lavoratori e le lavoratrici dovranno essere informati sulle modalità di utilizzo degli algoritmi da parte delle aziende. Perché tale ambiguità allora a livello nazionale?

L’accordo europeo sulla direttiva lavoratori delle piattaforme che ho contribuito a migliorare in Commissione Occupazione e Affari Sociale è per me una conquista sociale fondamentale per la quale mi sono molto battuta.

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LA LEGGE UE SULL’IA

E soltanto pochi giorni dopo, nel corso della Plenaria del 12-14 giugno scorso, abbiamo approvato le proposte di modifica avanzate dal Parlamento europeo sul regolamento della Commissione europea e del Consiglio per arrivare a mettere a sistema un insieme di regole chiare e trasparenti sull’intelligenza artificiale.

Le norme europee vanno nella direzione di garantire che l’IA sviluppata e utilizzata nell’Unione sia conforme ai nostri diritti e ai nostri valori, soprattutto in materia di supervisione umana dei sistemi, di privacy, di sicurezza, di trasparenza, di non discriminazione e benessere sociale e ambientale. E mentre tentiamo in Europa di porre finalmente un freno alla posizione dominante di cui godono grandi imprese e le piattaforme digitali prevedendo il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici – e quindi dei sindacati – di conoscere gli algoritmi che incidono negli ambienti di lavoro, il governo Meloni in sordina si oppone.