Decreto Lavoro, la ricetta del governo è sbagliata. Ecco perché

Lavoro

Il Primo maggio ho seguito con interesse l’insolito Consiglio dei ministri durante il quale la maggioranza di governo ha approvato il Decreto Lavoro di cui da mesi circolavano bozze e indiscrezioni giornalistiche. Il mio giudizio complessivo sulla riforma è piuttosto negativo. Sono almeno tre le ragioni della mia sostanziale bocciatura al Decreto, tutte legate alla condizione in cui versa il mercato e la qualità del lavoro nel nostro Paese.

Innanzitutto, questo decreto non è una vittoria per il lavoro. Ho subito constatato che le misure previste rischiano di favorire la precarietà piuttosto che il lavoro di qualità. E lo si vede chiaramente esaminando il tentativo di riformare due precedenti provvedimenti: il decreto Dignità, da un lato, e il Reddito di cittadinanza, dall’altro.

Andiamo con ordine.

CONTRATTI A TERMINE, COSA CAMBIA

Nel 2018 il Decreto Dignità aveva previsto per i contratti a termine una durata di 12 mesi, con possibilità di rinnovo, comunque non oltre i 24 mesi, in base ad una serie di causali stringenti per i datori di lavoro.

  1. esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività;
  2. esigenze di sostituzione di altri lavoratori o connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria.

Il nuovo Decreto Lavoro, interviene proprio sulle causali da cui dipendono di fatto le sorti di un rapporto a tempo determinato. Stando a quanto previsto dal nuovo provvedimento, il governo Meloni punta a liberalizzare nuovamente i contratti a termine, optando per un ritorno alla ‘a-causalità’ dei rinnovi. O, comunque, limitandone l’utilizzo: la causale infatti non sarebbe più necessaria dopo 12 mesi dalla stipula del contratto di lavoro ma dopo 24 mesi, con la possibilità di modificare il limite tramite contrattazione collettiva che generalmente non regolano le causali. Oppure tramite accordi aziendali o individuati dalle parti, di fatto quindi impresa e lavoratore non rappresentato.

I RISCHI

Cosa vuol dire? Vuol dire che spostando in avanti il limite di entrata in vigore della causale si rischia di vedere aumentare il numero dei contratti a tempo determinato. Grazie anche le deroghe previste dal decreto Lavoro sulle causali ma soprattutto agevolando quelle aziende in cui generalmente sono stati stipulati contratti di comodo o pirata. A rimetterci sarebbero ovviamente i lavoratori coinvolti che vedrebbero ridursi le loro tutele.

Ho già criticato più volte questo approccio e la visione di un mercato del lavoro in cui si punta sulla quantità e mai sulla qualità. Con questo decreto, il governo Meloni dice ai lavoratori e alle lavoratrici: più flessibilità meno garanzie.

Complici la pandemia di Covid 19, l’incertezza e una legislazione, che per almeno due decenni ha messo al centro i contratti a tempo determinato, i voucher, i contratti di somministrazione, intermittenti, le false partite Iva – e come se non bastasse gli stage e i tirocini gratuiti o pagati con rimborsi spese ridicoli – pur di sostenere il tasso di occupazione senza preoccuparsi dei problemi strutturali, in Italia il lavoro ha perso di qualità provocando diverse conseguenze negative sulle famiglie e paradossalmente sulle imprese.  

NESSUN ACCENNO AI GIOVANI E AI TIROCINI NON RETRIBUITI

Credo invece che sia necessario cominciare ad affrontare i problemi reali ed urgenti del mercato del lavoro: salario, stabilità e valorizzazione delle competenze. Tre punti sui quali l’Italia è rimasta pericolosamente indietro negli anni. Al punto che oggi milioni di persone sono nella morsa della povertà lavorativa, della precarietà, e dopo magari anni di studio e preparazione, non riescono a mettere a frutto le proprie competenze

Penso ai nostri giovani che, dopo anni di Università, si ritrovano a passare da uno stage all’altro con rimborsi spese ridicoli o addirittura gratis, senza alcuna garanzia di stabilità. Per loro, per il futuro del nostro stesso Paese, il governo Meloni non ha speso una sola parola e nulla ha previsto per fermare gli abusi.

Già questi elementi sono sufficienti a capire che proseguendo su questa via si rischia seriamente di indebolire le fasce più deboli della popolazione e di portare il Paese verso una crisi sociale. Tanto più che il decreto lavoro ha smantellato anche un’altra misura fondamentale di contenimento della povertà: il reddito di cittadinanza. Le destre hanno scelto di sacrificare una misura sociale, che andava sicuramente migliorata e potenziata, ma utile per contenere l’esclusione sociale e il numero dei working poor.

VIOLA LE RACCOMANDAZIONI UE SUL RDC

Ciò che contesto al governo Meloni è di averne non solo ridotto l’efficacia ma anche la platea dei beneficiari. Il decreto Lavoro infatti introduce due nuovi strumenti:

  • l’assegno unico di inclusione per chi non è abile al lavoro: il risparmio per il governo Meloni è di circa un miliardo di euro rispetto al reddito di cittadinanza.
  • lo strumento di attivazione al lavoro per gli occupabili che dà diritto ad appena 350 euro al mese di indennità per 12 mesi non rinnovabili. Occupabili che dovrebbero essere inseriti in un indefinito sistema di politiche attive per il lavoro. Nulla è stato detto o fatto finora per riformare i centri per l’impiego.

I criteri su cui si fondano questi due strumenti non sono solo restrittivi ma viene violata anche una delle principali raccomandazioni europee. Le famiglie italiane infatti riceveranno una indennità e non un vero e proprio sostegno economico; per un periodo limitato di tempo, non rinnovabile, affossando l’idea di uno strumento di sostegno pubblico permanente.

L’Italia sarà l’unico in Europa a non averne più uno a partire dal 1° gennaio 2024, quando verrà abrogato il reddito di cittadinanza.

IN EUROPA PER I DIRITTI DI TUTTI I LAVORATORI

Come sapete, in quanto componente della Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo, in questi quattro anni di mandato, mi sono occupata di diversi temi legati al lavoro, alla parità e alla trasparenza salariale, ai giovani e infine finanche all’invecchiamento attivo.

Vi invito a leggere i numerosi approfondimenti sulle tante battaglie politiche e parlamentari che ho portato avanti nell’interesse dei lavoratori e delle lavoratrici per la costruzione e il rafforzamento di una dimensione sociale del mercato del lavoro europeo e nazionale. Indispensabile, a mio avviso, per perseguire un reale sviluppo e ora approfittare dell’opportunità rappresentata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.

Come Partito Democratico, lo ha annunciato anche la nostra segretaria Elly Schlein. E siamo pronti a dare battaglia insieme a chi, partiti e parti sociali, è dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici e che condivide le nostre preoccupazioni sulle scelte del governo Meloni.