Autonomia differenziata, minaccia per il futuro dell’Italia

autonomia differenziata

Il 2 febbraio scorso il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge proposto dal Ministro Roberto Calderoli relativo all’autonomia regionale differenziata, su cui inizierà l’iter legislativo parlamentare.

In Italia, l’autonomia differenziata regionale ha infuocato il dibattito pubblico e politico per molto anni. Dai referendum in Lombardia e in Veneto nel 2018 alla proposta di Legge Calderoli, sono convinta che sia importante capire quali sono i rischi ai quali l’Italia va incontro, non solo, esasperando le discussioni politiche e pubbliche, ma anche e soprattutto, se il governo Meloni riuscisse a far approvare un provvedimento impostato su una pessima visione di futuro per il nostro Paese.

I rischi dell’autonomia differenziata sono nazionali ed europei; il pericolo è la tenuta dell’Italia intera e il prevalere invece di disparità e disuguaglianze territoriali inaccettabili contrari allo spirito nazionale e unitario della nostra Carta Costituzionale.

LA DESTRA DI PROPOSITO CONFONDE AUTONOMIA E FEDERALISMO

Cari lettori e lettrici, ci tengo a precisarlo perché nelle settimane scorse ci sono stati diversi esponenti politici della maggioranza di governo che hanno detto agli italiani che l’autonomia differenziata è figlia dei padri costituenti. Non c’è nulla di più fazioso e falso.

La Costituzione italiana non ha mai parlato di autonomia differenziata, bensì di federalismo regionale. L’intento della riforma del Titolo V fu quella di rafforzarla, riorganizzando competenze e poteri legislativi tra Stato e Regioni. Ma sappiamo bene che questa legge costituzionale in questi anni ha fatto discutere molto, dimostrando che non si può né banalizzare né semplificare un tema delicato che riguarda da vicino cittadini ed enti territoriali.

 

 

COSA SI INTENDE PER AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Il rapporto tra Regioni a statuto ordinario e Stato si basa su un principio fondamentale. Al contrario di quelle a statuto speciale, le Rso trasferiscono allo Stato gran parte delle imposte generate sul proprio territorio e lo Stato le spende sulla base di politiche uguali su tutto il territorio nazionale. Questo consente una redistribuzione di risorse dalle Regioni più ricche a quelle meno ricche.

Con l’autonomia differenziata lo Stato riconosce un’autonomia legislativa sulle cosiddette materie di competenza concorrente che comprendono i rapporti internazionali e con l’Unione europea, lavoro, istruzione, ricerca, salute, infrastrutture, energia, ambiente. Insieme alle competenze, le regioni possono anche trattenere il gettito fiscale, che quindi non è più distribuito su base nazionale a seconda delle necessità collettive.

LE RAGIONI DEL NO

Le storiche e marcate differenze economiche e sociali tra le regioni del nostro Paese, credo rendano il disegno di legge Calderoli potenzialmente pericoloso. Il solo fatto che sulle materie di competenza concorrente, le regioni possano muoversi in ordine sparso, come fossero dei feudi, e questo grazie all’ampia autonomia di gestione delle entrate fiscale, è un campanello d’allarme.

La dimostrazione che il governo Meloni punta a premiare alcun regioni e ad abbandonare i territori più depressi, dove invece lo Stato dovrebbe investire di più e meglio. Oggi più che mai con l’obbligo di mettere a terra in modo virtuoso e legale il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza il cui obiettivo è sempre stato quello di livellare le differenze Nord-Sud, e rimettere in moto il Mezzogiorno.

L’impostazione del DDL Calderoli, quindi, viola il principio della solidarietà economica e sociale previsto in Costituzione. Lo Stato centrale deve continuare ad essere il cuore pulsante delle politiche sociali ed economiche più importanti. Quelle indispensabili per fare crescere e sostenere lo sviluppo del Paese, da Nord a Sud. Il perno attorno al quale devono continuare a ruotare i diritti universali e fondamentali.

COSA PREVEDE IL DDL

Il ministro Calderoli e questa maggioranza di governo invece vogliono spaccare il nostro Paese. Uno dei punti più contestati della proposta è quello relativo al finanziamento dei livelli essenziali di prestazione (LEP) che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale per tutelare i “diritti civili e sociali” di cittadine e cittadini.

L’entità di questi finanziamenti dovrebbe essere stabilita prima delle richieste di autonomia, in modo tale da avere chiaro di quante risorse ha bisogno ogni regione richiedente. E spetterebbe quindi al Parlamento farlo per ciascuna regione, tenendo conto di certo non della spesa storica, come avrebbe voluto la Lega ma il benessere di tutti i cittadini.

Non è ammissibile, a mio avviso, che le regioni formulino un’intesa con lo Stato, e che i livelli di prestazione essenziale siano definiti per decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Provvedimento su cui questa maggioranza aveva alzato gli scudi in tempi di pandemia, evocando il pericolo di una esautorazione del Parlamento. Quale incoerenza?!

NO ALLE DIFFERENZE TRA NORD E SUD

Con questa impostazione legislativa che avvantaggia solo una parte del Paese rischiamo di riproporre a livello nazionale una dinamica di frattura e opposizione tra Nord e Sud ben nota anche in ambito europeo dove su determinati temi ci siamo divisi tra paesi mediterranei e paesi frugali. Paesi virtuosi e paesi meno virtuosi, tra buona e cattivi.

Come ho raccontato nell’articolo sul meccanismo europeo di stabilità non c’è impostazione politica e legislativa più sbagliata, le divisioni, le disparità e le disuguaglianze vanno combattute e sono convinta che il proposito del governo di centrodestra di costruire un’Italia basata sull’autonomia differenziata delle regioni sia folle, sbagliato e miope.

Inoltre, l’autonomia differenziata è diventata un cavallo di battaglia delle amministrazioni che governano le regioni storicamente più ricche e che segnalo in Europa coincidono con quelle forze politiche – Lega e Fratelli d’Italia – attaccano i paesi del Nord, i cosiddetti frugali, difensori dell’Austerità e critici nei confronti dei paesi del Mediterraneo. Uno strabismo politico che rende i partiti che sbandierano con orgoglio l’autonomia differenza incoerenti. 

NO A REGIONI DI SERIE A E SERIE B

Quello in cui crediamo è una prospettiva diametralmente opposta che vede un’Italia in grado di affrontare unita le grandi sfide della trasformazione ecologica e tecnologica. Che sia in grado quindi di crescere e di svilupparsi utilizzando al meglio le risorse del PNRR e più in generale dai tanti fondi europei che ci hanno permesso di sostenere le aree più depresse del nostro Paese.

L’Italia delle regioni di serie A e di serie B è l’Italia di questo governo che non riesce a rispondere ai bisogni reali dei territori, dei cittadini, delle famiglie e delle imprese. Vogliamo una Italia figlia di chi non si fa problemi a valorizzare, o peggio ancora, a premiare le disparità nel Paese? No!

Dire no all’autonomia differenziata, significa avere una visione alternativa che offre soluzioni ai divari, alle disparità e alle disuguaglianze, affinché conteranno sempre meno e saranno affrontate perciò che realmente sono: emergenze da contrastare e superare una volta per tutte.

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, Gruppo alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (Pse). Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.

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