Direttiva “ammazza stalle”: la proposta è basata su dati vecchi e imprecisi

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La direttiva sulle emissioni industriali (IED), che in Italia è stata ribattezzata “ammazza stalle”, continua a fare discutere. Io per prima ho definito la proposta di revisione di questa legge europea irricevibile, perché sproporzionata per gli allevatori italiani.

COSA PREVEDE LA PROPOSTA DI REVISIONE DELLA DIRETTIVA

Nell’intenzione della Commissione, l’aggiornamento normativo aiuterà a orientare gli investimenti industriali necessari per trasformare l’Europa in un’economia climaticamente neutra entro il 2050. L’obiettivo è quello di stimolare l’innovazione industriale, soprattutto, nel lungo periodo.

È ben noto che i costi sanitari legati all’inquinamento di origine industriale (ossidi di zolfo, ossidi di azoto, ammonio, particolato, metano, mercurio e altri metalli pesanti) si misurano in miliardi di euro e in centinaia di migliaia di morti premature ogni anno e in danni anche per gli ecosistemi, le colture e l’ambiente.

Secondo le stime di Bruxelles, questa proposta comporterà benefici per la salute del valore di 7,3 miliardi di euro all’anno. Se le nuove regole saranno approvate, gli Stati membri dovranno utilizzare valori limite di emissione più severi quando rivedono i permessi o stabiliscono nuove condizioni di autorizzazione.

DAL CONSIGLIO EUROPEO SOLO POCHI CAMBIAMENTI

L’accordo raggiunto dal Consiglio europeo dei ministri dell’Ambiente che si è tenuto il 16 marzo scorso continua a sollevare malcontento e perplessità, nonostante siano stati accolti diversi degli emendamenti presentati per migliorare la precedente proposta.

Secondo quanto stabilito dal Consiglio, infatti, le aziende agricole estensive dovrebbero essere escluse dalla nuova normativa, che sarà applicata progressivamente a partire dalle aziende più grandi. Inoltre, la direttiva prevede per gli Stati membri una flessibilità nell’adeguarsi alla nuova normativa e una deroga ai valori limite di emissioni per scongiurare, in caso di crisi, il necessario approvvigionamento di energia o di altre risorse.

Resta però il fatto che l’industria e le aziende zootecniche dovranno investire nella riduzione dell’inquinamento.

DATI VECCHI E VALUTAZIONI SBAGLIATE PESANO SUI PICCOLI ALLEVATORI

La crisi inflattiva è però tutt’altro che alle spalle. E gli allevatori, al pari degli agricoltori, stanno affrontando difficoltà enormi nel portare avanti le loro attività. All’aumento del livello dei prezzi delle materie prime aggiungiamo ora la peggiore crisi idrica degli ultimi cinque anni. Il Nord Italia è gravemente minacciato dalla siccità e anche questo fattore sta danneggiando il settore.

Resto dunque convinta che proporre di estendere l’applicazione della direttiva IED anche agli allevamenti di piccole e medie dimensioni è un errore grave. Così come lo è equiparare un allevamento ad una centrale elettrica o ad un impianto di produzione chimica.

Torno ancora una volta a sottoporre all’attenzione della Commissione europea il tema delle valutazioni d’impatto in agricoltura. In più di un’occasione è accaduto che non siano state presentate, o siano arrivate in ritardo. Oppure, come nel caso specifico della Direttiva “ammazza stalle”, le valutazioni di impatto contengono errori e dati imprecisi perché datati a poco meno di 10 anni fa.

La valutazione d’impatto sulla quale si basa la proposta di direttiva dunque  si basa su dati sbagliati. I tempi di riassorbimento nell’ambiente della CO2 prodotta dai bovini sono nettamente inferiori a quelli della CO2 prodotta da un motore a scoppio: per i primi pochi anni e per altri decine di anni.

Inoltre, molti dei dati riportati risalgono al 2016 e non tengono conto degli sforzi, anche economici, compiuti dagli allevatori in questi anni per ridurre il più possibile le emissioni.

DIRETTIVA “AMMAZZA STALLE”: COSTI DI ADEGUAMENTO TROPPO ALTI

Continuo a sostenere che gli obiettivi ambientali devono restare ambiziosi, ma che le politiche per raggiungerli devono rimanere proporzionate ed equilibrate per il settore privato. Nel caso specifico degli allevamenti, il rischio è quello di costringere alla chiusura migliaia di aziende di medie e piccole dimensioni che, nel caso dell’Italia, rappresentano la maggior parte delle realtà del settore.

Le ricadute economiche per l’adeguamento degli allevamenti alle nuove disposizioni europee sarebbero infatti proibitivi. Come denunciato anche dalla Coldiretti nell’aprile scorso, i costi di adeguamento alle nuove disposizioni saranno economicamente e socialmente insostenibili per moltissimi allevamenti, in Italia e in tutta Europa.

Occorrono circa 10.000 euro solo per effettuare uno studio preliminare e tra i 40 e i 50mila euro per mezzi più adeguati a gestire e limitare le emissioni prodotte.

Con queste cifre, un’azienda su quattro potrebbe non riuscire a far fronte ai pagamenti immediati e a coprire i costi correnti, con il forte rischio di dover chiudere l’attività.

PRODUZIONE EUROPEA E ITALIANA A RISCHIO

Ho sempre detto nei mesi scorsi quanto sia importante per l’Unione europea e per l’Italia investire il più possibile nella sicurezza alimentare e nell’autosufficienza. Con questa direttiva avremo quasi sicuramente una forte riduzione della produzione sul mercato interno europeo. Il che aprirebbe la strada a importazioni da paesi terzi dove gli standard ambientali, di sicurezza alimentare e benessere animale sono meno rigorosi di quelli europei anche ai fini della sostenibilità ambientale.

Sono convinta che la revisione della Commissione europea rischia di alimentare determinati business come quello legato alla carne sintetica, anche se oggi in Europa è in corso solo una sperimentazione; o di agevolare le multinazionali dell’allevamento che possono sostenere i costi legati alle autorizzazioni e agli impianti necessari per ridurre le emissioni inquinanti.