Lavoratori poveri, la riforma del Fisco è specchietto per l’allodole

lavoratori poveri

In Europa circa il 9% degli occupati è un lavoratore povero. In Italia, invece, secondo le stime più aggiornate del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il 13%. Parliamo quindi di circa 30 milioni di working poor in tutta l’Unione e 3,2 milioni solo in Italia con importanti oscillazioni durante la pandemia Covid-19.

Negli ultimi tre anni e mezzo, al Parlamento europeo ho portato avanti un lungo e incessante lavoro per arrivare ad una legge europea sul salario minimo. Una misura essenziale per contrastare la povertà lavorativa.

Eppure nonostante l’importanza di questa legge europea e le ricadute positive per milioni di lavoratori, il governo Meloni continua a non volerne sapere di procedere al più presto al suo recepimento e va in giro continuando a diffondere fake news e improbabili soluzioni al problema della povertà salariale.

LA LINEA DEL GOVERNO TRA FAKE NEWS E PALLIATIVI

Non mi stancherò mai ripetere innanzitutto che il recepimento di una direttiva europea non è opzionale. Ogni Stato membro ha infatti tempo due anni per attuarla, passati i quali si va incontro ad una procedura di infrazione.

Ma non è solo questo il problema. Nelle ultime settimane, il presidente del Consiglio ha ribadito chiaramente la linea del Governo sul tema del salario minimo. In ben due occasioni, durante il question time alla Camera e al congresso della CGIL, Meloni ha affermato che per raggiungere l’obiettivo di “garantire retribuzioni dignitose e adeguate”, l’introduzione del salario minimo legale “non è la strada più efficace” perché diventerebbe “non una tutela aggiuntiva ma una tutela sostitutiva” rispetto alla contrattazione collettiva.

Ed ecco qui un’altra fake news a dimostrazione della scarsa conoscenza del testo della direttiva Ue. Il salario minimo, infatti, così come definito, non intende affatto sostituire il ruolo della contrattazione collettiva ma al contrario rafforzarla. Non è affatto vero, come sostiene la destra che la contrattazione collettiva copre già la stragrande maggioranza dei rapporti lavori perchè ci sono purtroppo una miriade di contratti “pirata” che diventano terreno fertile lo sfruttamento come accade per i gig workers.

L’introduzione del salario minimo, inoltre, non abbasserà i salari più elevati ma fisserà una sorta di asticella al di sotto della quale non si potrà scendere per permettere a tutti i lavoratori una vita dignitosa. Sono convinta che il governo e le destre stiano voltando le spalle a milioni di lavoratori e lavoratrici povere, opponendosi in modo ideologico ad una misura sociale urgente e necessaria per l’Italia, specie in questo particolare periodo in cui la crisi inflazionistica minaccia redditi e potere d’acquisto delle famiglie.

ERRATA CORRIGE numero di working poor: in Europa 30 milioni, pari al 9% sul totale degli occupati. In Italia, 3,2 milioni, pari al 13% sul totale degli occupati.
LA RIFORMA FISCALE SPECCHIETTO PER LE ALLODOLE

La strada più efficace per aumentare i salari e combattere la povertà lavorativa sarebbe quella, a detta di Meloni, di procedere con il taglio del cuneo fiscale e una riforma fiscale “monstre“. Per Meloni, insomma, i salari in Italia sono bassi principalmente perché la tassazione è troppo alta per le imprese che devono assumere i lavoratori. Ed è quello il fronte prioritario su cui intervenire.

Peccato che per realizzare tutto questo servano almeno due anni, sempre ammesso che si riescano a trovare le risorse necessarie per realizzare i diversi ambiti in cui la riforma fiscale vuole intervenire, dalla riduzione dell’Irpef alla flat tax per tutti. Per pagare questi interventi, il governo propone la revisione delle tax expenditures, con un taglio alle agevolazioni fiscali.

SBAGLIATA LA RIFORMA DEL FISCO DEL GOVERNO MELONI

La proposta di riforma fiscale del governo Meloni è insostenibile per i conti pubblici e per i cittadini. Non solo: viola il principio della progressività sancito in Costituzione ma comune a tutti i paesi europei.

Garantire la progressività fiscale vuol dire promuovere equità e giustizia sociale. La inviolabilità di questo principio è stata peraltro ribadita in numerosi testi legislativi europei. Infine, una tassazione piatta renderebbe logicamente i diritti universali, quali Istruzione e Sanità, diritti invece esclusivi. Quindi, per pochi.

IL SALARIO MINIMO E’ L’UNICA SOLUZIONE POSSIBILE

Sono dell’avviso invece che non attuando la direttiva europea sul salario minimo ci stiamo privando di un’opportunità importante. Nei paesi in cui è già previsto un salario minimo per legge o per contrattazione collettiva, infatti, gli andamenti dell’occupazione sono positivi, così come gli aumenti salariali.

Secondo un recente studio dell’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, quasi tutti i Paesi europei hanno visto calare i salari reali nel 2022: in Italia, però, il calo è stato peggiore pari al 5,9% rispetto al 2021, mentre in Spagna del 3,5%, in Germania e Francia dell’1,7% Sempre l’Ilo racconta l’andamento dei salari reali nei Paesi del G7 negli ultimi 15 anni: se tedeschi e francesi, a parità di potere d’acquisto, hanno oggi buste paga più alte del 2008, quelle degli italiani sono più basse del 12%.

La ricetta del governo Meloni per rilanciare il lavoro è tutt’altro che convincente. Anzi, ritengo che sui salari la maggioranza abbia fatto una precisa scelta politica che va nella direzione opposta all’urgenza di rispondere a 30 anni di ritardi, errori e rinvii che stanno pagando oggi i lavoratori poveri.

Dal mio punto di vista se vogliamo davvero affrontare il problema della povertà lavorativa dobbiamo invece trovare un meccanismo attraverso il quale garantire un salario dignitoso alle persone ma rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva. Contro la povertà lavorativa e il precariato non c’è altra soluzione al salario minimo.