Il salario minimo con contratti seri serve ai lavoratori e alle imprese

salario minimo

Questa settimana il governo ha incontrato le parti sociali. Prima i sindacati – CGIL, CISL e UIL – poi il presidente della Confindustria Bonomi. Nel febbraio scorso, quando ancora sulla legge europea ‘salari minimi ed adeguati’ non era stato raggiunto un accordo politico, arrivato solo mesi più tardi a ridosso della conclusione del semestre francese, dissi che erano indispensabili dialogo e confronto. Sul salario minimo era e resta cruciale tenere assieme i rappresentanti dei lavoratori e le associazioni datoriali. A fare da collante – sottolineai – spettava al governo. E questo esecutivo ha dato il via a un primo incontro mettendo attorno a un tavolo le parti sociali.

Nel frattempo, l’approvazione definitiva della legge europea sul salario minimo è ai titoli di coda: il 12 luglio scorso infatti è stata ratificata a maggioranza dalla Commissione Occupazione e Affari Sociali del Parlamento europeo. A metà settembre, in Plenaria a Strasburgo, ci sarà il voto finale prima della pubblicazione in Gazzetta e dell’entrata in vigore. Resto convinta che il salario minimo serva all’Italia, e come ripeto da mesi, la legge europea è un buon apripista per risolvere il problema delle buste paga, ma anche per contrastare la concorrenza sleale tra le imprese, alimentata dal taglio del costo del lavoro.

I dati sul lavoro

Si aggiungono dati preoccupanti: perché con i mesi che verranno l’Italia dovrà sicuramente dare risposte su questo tema, soprattutto, con una inflazione all’8%. Se non adeguiamo in tempo i salari infatti il rischio di una nuova recessione è concreto. Non basta che per ora la crescita del PIL, seppure ridotta a causa della guerra e del caro vita, regga. L’aumento dei prezzi dei beni al consumo e di quelli  energetici nei prossimi mesi eroderà il potere d’acquisto degli italiani e impoveriranno i cittadini già poveri. L’effetto sarà una contrazione dei consumi interni che danneggerà le nostre imprese e la nostra economia.

Rafforzare il ruolo delle parti sociali

L’Italia in Europa è uno di quei paesi dove non è mai stato introdotto il salario minimo legale, forti della contrattazione collettiva e di un sistema di relazioni industriali basato sui contratti firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi. Negli ultimi 15 anni però, ma ancor prima con la crisi del 1992, per evitare un massacro occupazionale la contrattazione collettiva è cambiata, facendosi largo tanti contratti che hanno parcellizzato il lavoro. In base all’ultimo rapporto annuale presentato dall’INPS alla Camera, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi ci sono, depositati allo CNEL, circa 1100 accordi di lavoro.

4,2 milioni di lavoratori al netto degli agricoli e dei domestici hanno ‘mini jobs’ e part time. 9,5 milioni lavorano solo a metà e per una parte dell’anno, a causa della cassa integrazione. Le donne guadagnano 4mila euro in meno all’anno in media degli uomini e i giovani sono destinati di più alla precarietà o alla disoccupazione. Il salario minimo non smantella la contrattazione collettiva, se lavoriamo per migliorare e far funzionare i CCNL.

Al nostro Paese occorre dunque una contrattazione collettiva genuina: serve intanto rinnovare i contratti scaduti e fare ordine con gli accordi collettivi nell’interesse dei lavoratori ma anche delle imprese. E in effetti la direttiva europea riconosce il ruolo centrale della contrattazione collettiva nell’assicurare condizioni vantaggiose e nel garantire una struttura salariale più adeguata; e individua una soglia di copertura pari almeno all’80%, perché questa sia efficace. Sotto questa soglia, la direttiva prevedere la definizione di un piano d’azione per migliorarne le performance.

CCNL, la situazione in Italia

Il 90% dei rapporti di lavoro in Italia è coperta dalla contrattazione collettiva, ma ci sono accordi di comodo o pirata che hanno spinto verso il basso i salari in diversi settori produttivi. Al momento, i contratti non rinnovati si concentrano nel terziario e servizi e nella pubblica amministrazione mentre è nel privato che troviamo più contratti di comodo o pirata.

È indubbio che il sistema dei CCNL vada riformato per rafforzare il ruolo della rappresentanza sindacale nell’interesse dei lavoratori e delle imprese che competono sul mercato interno ed europeo. Contratti pirata, accordi non rinnovati, settori fragili e nuove professionalità, quali i gig worker, rendono complicato oggi l’accesso al mercato del lavoro e l’accesso a retribuzioni adeguate.

Salario minimo, i criteri per la fissazione

Ma quando un salario minimo è da considerare adeguato? Secondo la direttiva europea, i salari minimi sono considerati adeguati se sono equi in relazione alla distribuzione salariale nel paese e se garantiscono uno standard di vita dignitoso per i lavoratori basato su un rapporto a tempo pieno.

L’adeguatezza dei salari minimi è determinata e valutata da ciascuno Stato membro alla luce delle sue condizioni socioeconomiche, compresa la crescita dell’occupazione, la competitività e gli sviluppi regionali e settoriali.

I criteri nazionali devono includere almeno i seguenti elementi:

  • garantire l’accesso ad un paniere di beni e servizi adeguati all’inflazione. Tra questi oltre alle “necessità materiali” come cibo, abbigliamento e costo abitativo, sono previste delle “necessità sociali” come la partecipazione ad attività culturali, educative e formative. Ciò significa che il salario minimo dovrà tener conto del potere d’acquisto e del costo della vita;
  • tenere conto del livello generale dei salari netti e della loro distribuzione;
  • tenere conto della crescita generale dei salari netti;
  • tenere conto dei livelli di produttività di lungo periodo;
  • dovrà essere almeno pari al 50% della media sei salari lordi nazionali e al 60% della mediana dei salari lordi nazionali.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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