Lavoratori delle piattaforme, la direttiva è giusta. Mai più rider sfruttati

lavoratori delle piattaforme

In un mercato del lavoro che cambia sempre più velocemente, anche a causa degli effetti provocati dalla pandemia, la Commissione europea ha presentato giovedì 9 dicembre la proposta di direttiva per garantire maggiori diritti ai lavoratori delle piattaforme digitali.

Lavoratori delle piattaforme, numeri in crescita

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), nel 2020 i lavoratori delle piattaforme in Europa sono passati dal 4% al 30%.

Nel 2019, in base a stime non del tutto esaustive, in Italia i gig worker erano oltre 210mila. Il 42% non aveva un contratto di lavoro tipico. Nel nostro paese, i lavoratori delle piattaforme sono generalmente lavoratori con un buon livello d’istruzione: il 47% è diplomato mentre il 16% è laureato – dati Inaap. 

Cosa prevede la direttiva sui lavoratori delle piattaforme

Garantire i lavoratori delle piattaforme è una delle grandi battaglie del MoVimento Cinque Stelle. Come con il salario minimo, nel 2020 con la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo abbiamo deciso di avviare la trattativa con le parti sociali per definire un contratto adeguato per i lavoratori delle piattaforme.

In Europa, il MoVimento Cinque Stelle ha sostenuto la Relazione “Condizioni di lavoro dignitose, diritti e protezione sociale per i lavoratori delle piattaforme – Nuove forme di occupazione connesse allo sviluppo digitale”, discussa e approvata a settembre scorso in Commissione Occupazione e Affari sociali del Parlamento europeo.

Il testo della relazione emendata in Commissione Occupazione e Affari sociali è stato un primo passo importante per l’Unione europea. Se oggi infatti abbiamo una giusta proposta di direttiva lo dobbiamo al Parlamento europeo. Dal testo annunciato il 9 dicembre scorso dalla Commissione Ue si evince che i lavoratori delle piattaforme devono avere gli stessi diritti e le stesse tutele di tutti gli altri.

L’UE si rigetta finalmente anche solo l’idea che esistano lavoratori di serie A e di serie B. Il fatto che sia un algoritmo a determinare modalità e tempi di lavoro non può costituire più una penalizzazione.

Lavoro autonomo o subordinato, i criteri per stabilirlo

La Commissione propone di prendere in considerazione cinque parametri in base ai quali stabilire se il lavoratore è autonomo o subordinato:

  • verificare se vi è la determinazione o meno del salario o di un tetto allo stipendio;
  • se vi è vigilanza sul lavoro attraverso strumenti elettronici;
  • sussistono restrizioni all’orario di lavoro o al periodo di vacanza e al trasferimento a terzi dell’impegno preso;
  • esistono regole vincolanti sul lavoro da garantire;
  • se vi sono restrizioni alla possibilità di allargare la propria clientela.

Basterà che la piattaforma adotti anche solo due di queste condizioni perché venga considerata un datore di lavoro a tutti gli effetti e i collaboratori abbiano diritto a un salario minimo, nei Paesi ove esiste, alle ferie, alla malattia e a ogni altra tutela garantita ai dipendenti.

Le piattaforme potranno opporsi, ma avranno l’onere di provare che il lavoratore è genuinamente autonomo: il principio dell’inversione dell’onere della prova.

Le mie proposte di miglioramento

Sono convinta che la direttiva presentata dalla Commissione Ue sia proporzionata e adeguata. Bruxelles ha valutato opportuno riprendere molti dei principi sanciti dal Parlamento nella relazione che ho contribuito a rafforzare presentando 19 emendamenti che sono stati poi inseriti tutti nei compromessi.

Sono convinta che i lavoratori delle piattaforme debbano godere di:

  • una assicurazione contro gli infortuni;
  • trasparenza degli algoritmi che disciplina i turni e i carichi di lavoro;
  • l’inversione dell’onere della prova in capo alle aziende.

A poche ore dalla presentazione della proposta di direttiva da parte della Commissione, il presidente del MoVimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte, ha riconosciuto il merito del lavoro svolto al Parlamento europeo.

 

Lavoratori delle piattaforme, la paura per i posti di lavoro e i disinvestimenti

Nonostante tutto, c’è chi oppone resistenza alla direttiva sui lavoratori delle piattaforme. Molti detrattori hanno paura che imporre delle regole alle Big Tech del delivery e non solo possa portare a una perdita dei posti di lavoro e a una riduzione degli investimenti nel mercato interno europeo.

Questa direttiva in realtà ha lo scopo di armonizzare le legislazioni dei Paesi Ue in modo tale da costringere le piattaforme a rispettare regole uguali per tutti i lavoratori.

E’ chiaro che le multinazionali sono libere di non farlo, quando la direttiva entrerà in vigore. Ma è altrettanto chiaro che sarebbero costrette ad abbandonare del tutto il mercato europeo. Una prospettiva piuttosto surreale, alla fine, giganti come Amazon, Uber Eats, Just Eats dovranno adeguarsi al diritto del lavoro europeo.

Allo stesso tempo ritengo che occorra mantenere alta la guardia. E vigilare che l’assenza di una definizione univoca di lavoratore autonomo e di lavoratore subordinato possa portarci a un’applicazione a macchia di leopardo della direttiva. Su questo aspetto infatti le norme differiscono sensibilmente da Paese a Paese.

Intanto, abbiamo tracciato una rotta.

Dinanzi al mercato del lavoro oggi l’Unione europea deve dotarsi il più possibile di norme comuni per contrastare la concorrenza sleale tra gli Stati membri e tra i lavoratori.

Questa direttiva, assieme a quelle sul diritto alla disconnessione e al salario minimo, io credo rappresenti l’ “architrave” per una ripresa equa e sostenibile.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.