Migranti, emergenza infinita: gli (o)errori del governo Meloni

Il caso della nave Ocean Viking, approdata l’11 novembre nel porto di Tolone, scoperchia tutte le fragilità europee sulla ricerca di una gestione comune dei flussi migratori. Il rifiuto di un porto sicuro da parte dell’Italia e la successiva accoglienza francese hanno aperto una crisi diplomatica con accuse e minacce reciproche, mentre centinaia di migranti in condizioni sanitarie e psicologiche precarie si trovavano ancora a bordo della nave della Ong Sos Mediterranée.

Una gestione fallimentare

Nei giorni scorsi ho commentato le decisioni e gli annunci del governo. E ho riflettuto sull’intera gestione dei salvataggi in mare, sugli sbarchi e l’accoglienza di rifugiati e migranti.

Le rotte dei trafficanti di esseri umani sono almeno due: quella del Mediterraneo e quella dei Balcani. In entrambi i casi, l’Unione europea incontra enormi difficoltà. Al punto tale da ritrovarsi in più di una occasione spaccata al proprio interno. A vedersi costretta a mettere in discussione i finanziamenti destinati a Frontex. E, infine, minacciata da altri paesi, Turchia e Bielorussia, che sulla pelle dei migranti hanno dimostrato di essere disposti a lucrare, ricattare o avvantaggiarsi.

La gestione dei flussi migratori è diventata oramai da tempo una emergenza nell’emergenza. Per questo motivo, esprimo forti preoccupazioni sulla battaglia ostinata intentata dal governo e sul metodo Piantedosi-Meloni, i quali battendo i pugni contro le Ong e contro alcuni paesi europei non si rendono conto che questo fenomeno umanitario e socio-economico va affrontato con sobrietà, rispettando la vita umana, i diritti fondamentali, le norme internazionali e ricercando con diplomazia, impegno e proposte concrete un coordinamento europeo nelle sedi opportune. Basta anteporre una ideologia politica al rispetto e alla difesa della vita e della dignità umana.

Il governo Meloni, quindi, ha fallito. E ha generato caos e frizioni. Il metodo adottato nei giorni scorsi è sbagliato. Ha messo a rischio le persone, ha violato trattati e convenzioni internazionali e avvallato l’idea che si possa procedere con una selezione di chi può essere tutelato e chi invece non lo merita.

Il principio del salvataggio in mare di persone in pericolo di vita o in difficoltà non ammette deroghe. Non ci possono essere ambiguità. È inaccettabile alzare un polverone solo per riempire le pagine dei giornali. Ed è stato questo il peggior risultato ottenuto dal ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi.

L’Europa diventi protagonista

Sono in totale disaccordo con l’affermazione del ministro Piantedosi, pronunciata in occasione dell’informativa al Senato, sul fatto che l’azione del governo si sia ispirata al principio di umanità. Faccio mie, invece, le parole di Papa Francesco e del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, mettendo a fuoco il cuore del problema legato ai flussi migratori.

L’Unione europea resta ancora pericolosamente ostaggio di se stessa – di contrapposizioni interne, ambiguità e velleità sovraniste propugnate da alcuni Stati membri, che semplicemente ci danneggiano. Il governo Meloni è vicino ai governi ungherese e polacco. Entrambi, che pur hanno ostentato vicinanza e solidarietà al Presidente del Consiglio italiano, convinti che la difesa dei confini passi dalla costruzione di muri, filo spinato e dall’abbandono dei migranti che tentano ogni giorno di attraversare il Mar mediterraneo o i Balcani, sono sempre stati contrari ai ricollocamenti volontari.

Il paradosso quindi è che mentre il governo italiano chiede più solidarietà all’Unione europea, attira le simpatie dei governi più ostinati e persino contrari alla riforma dei contestati Regolamenti di Dublino che senza dubbio espongono maggiormente i paesi membri che rappresentano i confini dell’Ue nel farsi carico delle operazioni di salvataggio e di prima accoglienza.

Con il moltiplicarsi di guerre, crisi economiche e con l’aggravarsi delle conseguenze del cambiamento climatico, dobbiamo aspettarci nuovi e più consistenti flussi migratori. Superare in fretta la lunga impasse dell’azione europea deve essere una priorità, non più rinviabile. Altrimenti, rischiamo di trovarci di fronte a situazioni sempre più ingestibili.

L’Europa deve prendere coscienza del fatto che la questione migratoria è un problema che riguarda tutti gli Stati: siano essi di frontiera, continentali o di destinazione finale. E i governi devono raccontare la verità alle opinioni pubbliche. Una Europa senza flussi migratori è impensabile per via di conflitti, regimi, crisi climatiche e che di questi flussi – con il gelo demografico dell’Ue – abbiamo bisogno. Il passo successivo, quindi, deve essere quello di trovare soluzioni comuni sul fronte della integrazione dei migranti.

Riformare il Regolamento di Dublino

Dobbiamo riprendere in mano la riforma del Regolamento di Dublino che disciplina la richiesta d’asilo e che nella sua attuale impostazione è divisivo e impedisce una reale politica migratoria europea. Il Regolamento definisce confini naturali dell’Unione europea tutti quegli Stati che si affacciano sul mare (Italia, Malta, Grecia, Cipro, ma anche Francia, Spagna, Portogallo, ecc).

Dal momento dello sbarco in uno di questi Stati, spetta alle autorità nazionali farsi carico della prima accoglienza e delle domande di asilo. Dopo il 2016 questa impostazione è stata ritenuta insostenibile. Perché sono centinaia e centinaia i migranti cosiddetti secondari quelli cioè che non hanno alcuna intenzione di rimanere nel paese di primo approdo. Si creano così nell’Unione europea flussi migratori secondari. Un fenomeno che ha spinto verso accordi bilaterali o multilaterali per regolamentare i ricollocamenti.

Ricollocamenti e accordi tra gli Stati

Non ci sono a oggi norme che regolano i ricollocamenti. I paesi membri continuano ad andare avanti con accordi volontari che non hanno portato ai risultati sperati. Ad esempio, l’accordo di Malta, raggiunto nel 2019 dai ministri dell’Interno di Francia, Germania, Italia e Malta.

L’accordo stabilisce che i migranti che arrivano in Italia e a Malta e soccorsi lungo la rotta del Mediterraneo centrale siano redistribuiti nei diversi paesi europei nel giro di quattro settimane dall’approdo. In deroga al principio del Paese di primo ingresso, previsto dal Regolamento di Dublino.

L’accordo prevede anche un meccanismo di rotazione dei porti di sbarco. Ma sempre su base volontaria. Questo, come altri trattati non vincolanti, è poco efficace. Non offre infatti certezze giuridiche che sarebbero necessarie per una gestione efficiente dei ricollocamenti.

Nel frattempo, con il conflitto russo-ucraino, anche i flussi migratori vengono divisi in flussi di serie A e flussi di serie B. L’Unione europea infatti ha stanziato e speso miliardi di euro per l’accoglienza dei rifugiati ucraini. Una scelta giusta e doverosa. Che dire allora dei rifugiati che scappano attraversando altre rotte?

Ci sono conflitti, crisi e carestie dimenticate anche in altre regioni del mondo.

La Polonia, che ha accolto il maggior numero di profughi ucraini, non ha fatto mistero di discriminare gli altri migranti, chiudendo le frontiere alle centinaia di persone che lo scorso inverno si sono trovate ammassate alla frontiera. 

La corsia preferenziale per gli ucraini che fuggono dalla guerra è legata all’emergenza. Ma quella a cui assistiamo ogni giorno nel Mediterraneo e nei Balcani va gestita, come ho spiegato, trattata allo stesso modo.

Cosa prevedono i trattati internazionali

Riguardo alla vicenda della Ocean Viking, invece, ritengo che l’unico guadagno ottenuto dalla rottura con la Francia sia stato il placet al governo Meloni della Le Pen, di Orban e di Morawiecki. Peccato che nessuno di questi leader abbia mai assunto l’impegno di presentare una riforma dei regolamenti di Dublino. Così il metodo Piantedosi-Meloni che sta facendo discutere in Italia come in Europa, sembra volere puntare più a stravolgere norme consuetudinarie e quelle codificate nei trattati o convenzioni internazionali sul diritto del mare, i rifugiati e i migranti, così come le norme sul soccorso e il salvataggio che risolvere alla radice il problema.

Dire, come ha fatto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che la presa in carico dei migranti spetta al paese che batte bandiera sulla nave di salvataggio è un’inesattezza.

La nave è sicuramente il primissimo luogo di accoglienza. Ma solo fino al momento in cui si raggiunge il porto più sicuro scelto di volta in volta in base alle situazioni contingenti in cui si trova la nave. Il criterio principale è chiaramente la salvaguardia della vita umana. Se a bordo ci sono perseguitati politici, ammalati, vittime di abusi, minori è necessario coordinarsi con le autorità statali più facili da contattare nel momento in cui la nave o le navi si trovano nelle acque di competenza o ancora in acque internazionali e c’è una situazione di ‘distress’ ovvero di pericolo.

La propaganda dei numeri

C’è poi la propaganda dei numeri sull’accoglienza. Siamo sicuri che l’Italia sia il Paese con il maggior numero di migranti? O il maggior numero di rifugiati? I dati ci dicono che non è così. Alla data dell’11 novembre, 90.297 mila persone sono sbarcate in Italia dall’inizio del 2022. A fronte dei 26.341 della Spagna, dei 7.684 della Grecia e dei 13.474 della piccola Cipro, (dati aggiornati dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione).

Ma se andiamo a guardare quanti dei migranti sbarcati in Italia decidono di restare, il numero delle richieste di asilo o il numero di stranieri residenti in rapporto alla popolazione vede il nostro Paese indietro rispetto ad altri paesi Ue, non di primo approdo. Segno che chi arriva in Italia cerca di proseguire verso altre destinazioni. Allora: invito il governo Meloni ad affrontare il tema con la competenza necessaria e a disfarsi una volta per tutte della propaganda.

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.