Migrazioni, la condanna del Parlamento. No a una Europa “fortezza”

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Al confine tra Polonia e Bielorussia, alle porte della nostra Europa, si è consumata l’ennesima tragedia umanitaria, culminata con la morte di un neonato originario della Siria.

Tra scontri e respingimenti, centinaia di migranti e di profughi – per la maggior parte siriani e curdi iracheni – hanno tentato di varcare la frontiera per entrare nell’Unione europea.

Braccati e costretti a trascorrere diverse notti al gelo nei boschi, uomini, donne e bambini sono stati poi trasferiti dal governo di Minsk in un grande magazzino.

Le settimane scorse sono state politicamente difficili per l’Europa. Perché la crisi migratoria al confine tra Polonia e Bielorussia si è trasformata in un braccio di ferro e in uno scontro con la Russia di Vladimir Putin e il regime di Alexander Lukashenko.

Migrazioni, Polonia-Bielorussia una crisi costruita a “regola d’arte”

Lukashenko, ribattezzato l’ultimo dittatore d’Europa, gioca da oltre 20 anni una doppia partita.

Da un lato a livello interno mantiene saldo il proprio potere, soffocando con la violenza ogni forma di opposizione politica, dall’altro, a livello internazionale, è uno degli alleati di Mosca a pochi chilometri dal confine con l’Unione europea.

La brutalità con la quale il dittatore bielorusso ha usato migranti e profughi per mettere sotto pressione l’Europa, che ha rinnovato le sanzioni contro Minsk, è gravissima.

Lukashenko ha tentato di creare una forte tensione al confine non solo con la Polonia ma anche con la Lituania. Il governo di Vilnius ha accolto diversi profughi, e oppositori del regime bielorusso.

Le ragioni della minaccia bielorussa

Ci sono ragioni diverse che hanno spinto Lukashenko a provocare una crisi a due passi dall’Unione europea.

I migranti ammassati ai confini avrebbero generato, come è stato a Varsavia, un moto di protesta guidato dalle destre estreme e nazionaliste.

Nel timore di una “invasione di profughi e migranti”, Minsk avrebbe voluto costringere i governi polacco e lituano (ma non solo) ad adottare una linea politica più morbida sulle sanzioni.

La repressione dei paesi europei confinanti, Lituania e Polonia, per impedire ai migranti di superare la frontiera avrebbe potuto creare una forte tensione con Bruxelles che tiene sott’occhio in particolare il governo di Varsavia sul rispetto dello Stato di diritto e dei Trattati europei.

Una strategia della tensione, messa a punto a regola d’arte, per provare a mettere fine alle sanzioni europee dopo il dirottamento dell’aereo Ryanair avvenuto nel maggio scorso.

Migrazioni, la debolezza dell’Unione europea

La strategia di Minsk, che non è servita a dissuadere l’Europa dall’applicazione delle sanzioni, ha però dimostrato chiaramente quanto siamo ancora profondamente divisi sui flussi migratori.

Credo che le politiche europee rendano l’Unione debole, vulnerabilissima alle pressioni dei paesi terzi.

Ci sono tensioni geopolitiche che l’Unione non è in grado di intercettare in tempo, ponendosi come primo e unico interlocutore.

E la crisi bielorussa è solo la punta di un iceberg. Le migrazioni sono state utilizzate anche da altri Stati come un’arma di pressione, o peggio ancora di ricatto, nei confronti dell’Europa.

Penso ad esempio alla minaccia della Turchia di sospendere l’applicazione dell’accordo sui migranti all’inizio del 2020.

Oppure alle tensioni tra Spagna e Marocco, quando migliaia di persone hanno raggiunto il confine mentre i due paesi si scontravano sul territorio del Sahara Occidentale.

Migrazioni, necessario abbattere le divisioni interne

Per questo credo sia urgente che l’Unione risolva le divisioni interne sulla gestione dei flussi migratori che con i conflitti, il cambiamento climatico, e una crescita economica globale squilibrata rischiano di intensificarsi.

Nel frattempo, determinate politiche nazionali acuiscono le divisioni all’interno dell’UE.

Ad esempio la Polonia il sette ottobre scorso, ha sostenuto la incompatibilità di una parte dei Trattati europei con la Costituzione nazionale.

Con lo scopo di far prevalere l’ordinamento interno, la sentenza della Suprema Corte polacca è una sfida all’unità dell’ordine giuridico europeo.

La pretesa della Polonia di mettere all’angolo il diritto comunitario contribuisce a derive pericolose e agevola le minacce esterne. Come il tentativo da parte del regime di Minsk dimostra.

Ho quindi sostenuto la risoluzione approvata dal Parlamento europeo l’11 novembre scorso che condanna l’atteggiamento della Polonia nei confronti dell’Unione.

Dinanzi alle migrazioni, l’Europa non diventi una “fortezza”

Le migrazioni sono fenomeni strutturali. Non possiamo aspettarci che nel mondo non vi siano più né migranti economici né rifugiati.

L’Unione europea deve riuscire a governare i flussi con umanità. Ma anche con la fermezza necessaria a sottrarre i migranti dai subdoli giochi politici di un governante o di più governanti.

La risposta non può continuare a essere di natura emergenziale. E soprattutto non può essere quella di costruire muri, barriere o filo spinato tanto più utilizzando le risorse europee.

La buona notizia è che il Parlamento europeo ha detto “no” all’emendamento sul finanziamento comunitario ai muri anti-migranti, presentato da Identità e Democrazia (ID) e il Gruppo dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR). Una batosta anche per i sovranisti d’Italia, Lega e Fratelli d’Italia che avevano naturalmente scelto di sostenere questa richiesta.

Serve dunque una maggiore cooperazione tra gli Stati membri, tra quelli di frontiera e quelli di destinazione finale dei migranti.

L’Europa deve affrontare riforme importanti e strategiche come quella del Regolamento di Dublino che, nella sua forma attuale, è divisiva e impedisce la messa a punto di una politica migratoria condivisa.

Sono convinta che sia una offesa alla democrazia perdere di vista i valori di solidarietà e giustizia che sono da sempre il fondamento dell’Unione europea.

Qualunque sia la rotta, da Est o dal Mediterraneo, l’UE deve impedire che le migrazioni finiscano in tragedia. O, peggio ancora, si trasformino in una (mal) celata minaccia politica.

 

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.