Europa sociale, politiche e azioni tra presente e futuro

Europa sociale

Avrete sicuramente sentito parlare della Conferenza sul futuro dell’Europa – una serie di dibattiti e discussioni che avrebbero dovuto prendere il via nel 2019 ma che la pandemia di Covid-19 ha costretto a inaugurare soltanto nel maggio 2020.

La Conferenza sul futuro dell’Europa, un grande esercizio democratico “paneuropeo”, ha questo come obiettivo: fornire risposte, idee e soluzioni su temi cruciali, quali ambiente, clima, equità sociale, benessere economico, migrazioni. I protagonisti sono i cittadini europei che partecipano ai panel a livello europeo e nazionale e alle sessioni plenarie.

L’emergenza sanitaria del Covid-19 si è rivelata una opportunità per accelerare una ampia riflessione sull’Unione europea e sul futuro che i cittadini europei immaginano e che in molti vorrebbero contribuire a costruire.

I pilastri della nuova Unione

Fiduciosa che dalla Conferenza sul futuro dell’Europa usciranno fuori moltissime idee, riflesso dei principali bisogni e delle istanze più forti condivise dai cittadini europei, credo che questa grandiosa esperienza – o esperimento – possa trasformarsi in qualcosa di strutturale e strutturato.

Questo prezioso confronto con i cittadini infatti può accompagnare i processi decisori delle istituzioni dell’Unione.

Ne ho parlato all’evento organizzato il 18 novembre 2021 da Centro in Europa “Dopo la conferenza sul futuro dell’Europa, verso una Europa più sociale?”.

 

 

L’incontro è stato l’occasione per ribadire quali siano, a mio parere, i pilastri della Nuova Europa in cui la dimensione sociale non è sullo sfondo, marginalizzata e trascurata ma è rinvigorita da scelte politiche precise, sensate, rivolte al benessere, alla crescita per tutti e quindi alla inclusione.

Il M5S ha sempre sostenuto che la partecipazione diretta dei cittadini alla vita pubblica è un aspetto centrale. Non abbiamo mai voluto sovvertire la democrazia parlamentare. Piuttosto, come dimostra l’esperimento della Conferenza sul futuro dell’Europa, riconoscere ai cittadini il diritto di partecipare in modo più attivo alla vita politica. Ma soprattutto di essere meglio informati per comprendere il senso di molte nostre decisioni.

Un apporto benefico che avvicina l’Europa ai territori e alla cittadinanza che da sempre incontrano difficoltà nel capire le leggi europee, anche quando favorevoli. Questa è, a mio avviso, una ottima strada per prosciugare ogni forma residua di euroscetticismo e antieuropeismo.

I cittadini stanno mettendo in luce una serie di gravi mancanze del nostro modello di sviluppo economico e sociale e, appare chiaro, rispetto al recente passato, una maggiore sintonia con le battaglie che si stanno combattendo a Bruxelles: penso allo stato di diritto, alla transizione verde e digitale, al dumping fiscale e sociale, alla lotta alla povertà e alle discriminazioni.

Europa sociale, riformare il modello di governance

Ma questi temi non esauriscono il problema di fondo che interessa l’Unione Europea come “progetto politico”; legato alla necessità di un nuovo modello di governance per rispondere a due grandi questioni: come si prendono le decisioni, e su quali regole e priorità si deve fondare il nostro stare insieme.

Per avere un’Europa più forte, risoluta e tempestiva bisogna superare il meccanismo dell’unanimità e dei veti incrociati in Consiglio, individuando un meccanismo nuovo a maggioranza qualificata, e contestualmente riconoscere al Parlamento il diritto di iniziativa legislativa da condividere con la Commissione Europea. Due passaggi indispensabili per chiudere definitivamente la porta a quelle forme di tecnocrazia che hanno accentuato nel recente passato povertà e disuguaglianze.

Il passo in più: la revisione del Patto di Stabilità

Il Patto di Stabilità, nella sua formulazione attuale, ha fallito. Ciò di cui abbiamo urgente bisogno è piuttosto un nuovo Patto di solidarietà e di sviluppo che metta al centro la persona e le politiche di crescita, e non gli anacronistici vincoli di bilancio.

L’8 novembre scorso, a Bruxelles, si è svolta la prima discussione sulla revisione delle regole sui bilanci degli Stati.

Come da sempre sostiene il Movimento 5 Stelle, la regola del debito del 60% è una zavorra per il rilancio dell’economia. Per questo, dobbiamo superarla.

La nostra proposta prevede l’introduzione di una golden rule che consenta lo scorporo degli investimenti verdi e sociali nel calcolo del rapporto deficit/PIL e che metta gli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale sullo stesso piano di quelli macroeconomici.

Gli investimenti in sanità, sociale e sostenibilità non possono essere più considerati meri costi, piuttosto le pietre angolari di una società nuova, più equa e giusta.

Europa sociale, da enunciazione di principio a impegno politico

Nel 2017, l’Unione Europea ha dato vita al Pilastro europeo dei diritti sociali. Venti punti che in tanti hanno accolto con scetticismo.

Ricordo anche come nel 2019, quando il Movimento 5 Stelle ha posto al centro del proprio programma politico il salario minimo, altrettanti hanno guardato con sospetto questa scelta.

Oggi, a due anni e mezzo di distanza, siamo ad un passo dall’approvare questa misura che restituirà dignità a milioni di lavoratori.

Il testo approvato è il migliore possibile, frutto di un lavoro durato oltre un anno che permetterebbe di affrontare una volta per tutte il problema sull’adeguatezza delle retribuzioni in Italia e in Europa.

Gli interventi a sostegno dei cittadini europei

La pandemia ha costretto l’Unione Europea ad affrontare una crisi sanitaria, economica e sociale senza precedenti. I cittadini e i lavoratori europei hanno da tempo bisogno di risposte concrete e urgenti.

Il Next Generation Eu, con cui abbiamo la grande opportunità di rilanciare l’economia italiana ed europea, è la dimostrazione di come l’Europa abbia scelto di investire nella dimensione sociale, agendo quando necessario con coesione e in modo solidaristico.

Un altro esempio? Lo SURE, strumento messo in campo per proteggere l’occupazione nell’eurozona durante la fase più acuta della pandemia. Con una dotazione complessiva di 100 miliardi di euro sotto forma di prestiti agevolati, SURE ha permesso agli Stati membri di pagare la cassa integrazione di un cittadino europeo su tre e di salvare oltre quattro milioni di posti di lavoro.

Europa sociale, nuove battaglie per nuovi diritti

In Commissione Occupazione e Affari Sociali ci stiamo concentrando in questa fase su due tipi di azioni legislative. Da un lato si stanno colmando i vuoti del passato, garantendo tutele dove prima c’erano solo anarchia e abusi, per effetto di un decennio di neoliberismo sfrenato. Dall’altro, si sta cercando di anticipare i processi di trasformazione economica e sociale dell’Europa. Rinnovando vecchi diritti o addirittura creandone di nuovi nella prospettiva delle rivoluzioni verde e digitale.

Il diritto alla disconnessione, ad esempio, è una delle nuove tutele che dobbiamo garantire ai lavoratori europei. Con la pandemia, gli smart worker sono passati dal 5% al 30% sul totale dei lavoratori pubblici e privati.

Questo processo è avvenuto però in una condizione di completo vuoto legislativo a livello europeo e nazionale. Riconoscendo il diritto alla disconnessione il Parlamento europeo dà una risposta forte ai cambiamenti nel mondo del lavoro.

Altrettanto importante è la direttiva sui lavoratori delle piattaforme. Anche in questo caso, l’Unione europea ha assistito al boom della gig economy (nota come l’economia dei lavoretti) senza sapere intervenire in modo adeguato, al fine di tutelare sì l’occupazione ma anche i lavoratori. Gli stessi che oggi sono vittime di abusi e sono sottopagati.

Il lavoratore delle piattaforme deve essere considerato un lavoratore subordinato, e non più un “falso autonomo”, attraverso l’inversione dell’onere della prova a carico delle aziende. Un meccanismo questo che incide anche sulle retribuzioni e le tutele tipiche del diritto del lavoro.

Più tutele per donne, transfrontalieri e stagionali e stop al caporalato

Altro tema sensibile è quello della trasparenza retributiva, oggetto nelle settimane scorse di un’importante riforma in Italia. In questo caso, la proposta in discussione in Parlamento è più ambiziosa di quella approvata in Italia. Poiché si applica alle aziende con 10 dipendenti, anziché 50 e che di certo nel nostro Paese può avere un grande impatto. La maggioranza delle donne infatti è impiegata proprio nelle microimprese.

Sul fronte delle tutele per i lavoratori stagionali e transfrontalieri, stiamo lavorando affinché sia accolta la richiesta di creare un numero europeo di sicurezza sociale. La riforma è indispensabile per armonizzare i diritti sociali. E, infine, identificare casi di dumping salariale e sociale in un mercato interno che ha visto crescere le fila di chi si sposta per lavoro.

Infine, c’è la condizionalità sociale in agricoltura. Un principio introdotto per la prima volta nell’ottobre 2020 con un importante voto sulla nuova PAC 2021-27, approvata in via definitiva alla Plenaria di Strasburgo.

Il concetto, semplice ma rivoluzionario, stabilisce che le aziende agricole che non rispettano il diritto del lavoro non potranno accedere ai fondi europei. Una straordinaria arma per la lotta al caporalato. E che progressivamente stiamo estendendo a tutti gli altri settori produttivi, in modo particolare alle commesse e agli appalti pubblici.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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