Piattaforme, la mia vittoria: dall’Ue più tutele e più diritti per i rider

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Con la digitalizzazione, le piattaforme hanno modificato il mercato del lavoro europeo, diffondendo il modello della Gig Economy, anche nota come la “economia dei lavoretti”.  In circa cinque anni, il suo valore è quintuplicato, da tre miliardi di euro del 2016 a 14 miliardi di euro nel 2021.

Le piattaforme digitali hanno creato nuovi posti di lavoro, ma per molti si tratta di un impiego precario che non soddisfa i requisiti minimi della tutela sociale. Con la pandemia, il numero dei lavoratori della Gig Economy sono aumentati ulteriormente. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), nel 2020 i lavoratori delle piattaforme in Europa sono passati dal 4% al 30%. Nel 2019 in Italia erano oltre 210.000 e il 42% di essi non avevano un contratto di lavoro tipico.

L’atipicità dei rapporti di lavoro, propria della Gig Economy, sta generando non pochi problemi ai lavoratori. Il più importante riguarda lo status occupazionale. Le altre criticità coinvolgono l’utilizzo degli algoritmi – sistemi informatici attraverso cui le multinazionali gestiscono il lavoro tramite le piattaforme. E, infine, l’accesso limitato alle forme di rappresentanza sindacale.

 

Piattaforme, il principio della presunzione del lavoro dipendente

La “economia dei lavoretti”, nata negli Stati Uniti, sfrutta l’idea di una maggiore flessibilità del lavoro, oggigiorno sempre più marcata anche nel mercato europeo. La relazione sui lavoratori delle piattaforme, approvata il 14 luglio in Commissione Occupazione e Affari Sociali al Parlamento europeo, è un grande passo in avanti.

Il provvedimento ha lo scopo di garantire una tutela maggiore ai lavoratori delle piattaforme, soprattutto, rider, autisti, fornitori di servizi. Una delle conquiste più importanti è l’approvazione del principio dell’inversione dell’onere della prova. Pensato a garanzia dei lavoratori, qualora sorga una controversia sulla natura del rapporto di lavoro.

Si partirà sempre dalla presunzione che il lavoratore è un dipendente. Spetterà all’azienda dimostrare che non è così. Il principio aiuta perciò a far emergere i casi dei falsi-autonomi, garantendo ai lavoratori delle piattaforme più tutele e più diritti.

 

Piattaforme, le mie proposte che hanno aiutato a fare la differenza

È stata una battaglia per ottenere giustizia sociale. E i miei emendamenti sono riusciti a fare la differenza. Ho presentato infatti 22 proposte di modifica sulla relazione al Parlamento europeo. Diciannove emendamenti sono stati inseriti nel testo che ora indubbiamente offre più garanzie e più tutele ai lavoratori.

La mia azione è stata da subito incisiva, perché ho chiesto in modo esplicito che l’Unione europea elabori una direttiva vincolante a favore dei lavoratori delle piattaforme. Tra le priorità, ho indicato anche il contrasto all’odiosa pratica del dumping sociale e fiscale messa in atto dalle multinazionali.

Inoltre, per la prima volta, l’Ue ha affrontato in modo organico la questione degli algoritmi. Troppo spesso, fonte di discriminazioni: dalla selezione del personale alla valutazione delle performance; dalla misura dei tempi di lavoro e riposo al licenziamento.

Con questo nuovo testo, le aziende dovranno garantire trasparenza, equità, portabilità e tracciabilità dei diritti, mentre gli algoritmi dovranno essere accessibili alle parti sociali. Sono consapevole che le piattaforme hanno e avranno un ruolo fondamentale rispetto alla transizione digitale a cui ambisce l’economia europea. Ma il mio obiettivo resterà sempre quello di assicurare prima pieni diritti a tutti i lavoratori.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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