Quella violenza economica che rende vulnerabili le donne

L’omicidio di Giulia Cecchetin ha sconvolto l’Italia, e riportato al centro del dibattito politico la violenza contro le donne che assume diverse forme. Sono passate due settimane dalla manifestazione del 25 novembre che ha riempito le strade di Roma: donne ma anche uomini gli uni al fianco degli altri per condannare la violenza fisica, psicologica, economica che alimenta un fenomeno sociale inaccettabile.

Al grido «Basta!», «mai più», ogni persona ha ricordato che l’amore non è tale quando ci sono abusi, maltrattamenti, discriminazioni che sviliscono la donna e il suo ruolo nella società. Insomma, la violenza di genere è un fenomeno complesso, le cui forme vanno comprese appieno e riconosciute prima che sia troppo tardi.

Chi come me si occupa di lavoro sa bene che tra le peggiori forme di violenza di genere, quella economa è ancora poco dibattuta ma tra le più pericolose e subdole.
Di violenza di genere ho parlato anche nella intervista rilasciata a Radio Immagina e che potete riascoltare qui. 

VIOLENZA ECONOMICA, POCO CONOSCIUTA MA MOLTO DIFFUSA

La violenza economica è ancora oggi troppo spesso sottovalutata, eppure largamente diffusa, tra le mura domestiche come negli ambienti di lavoro.

Capita spesso, ad esempio, che il partner scoraggi o impedisca alla propria compagna di accettare un’offerta di lavoro, la costringa a rimanere a casa a occuparsi delle pulizie e della cura dei figli, utilizzi, senza consenso, i soldi della moglie e pretenda di gestirne il denaro.

I dati che riguardano la condizione economica delle donne nelle nostre società industrializzate e avanzate sono impressionanti.

A dimostrazione che la strada per la parità uomo-donna è lunga e che parlare della violenza di genere non è abbastanza. Non lo è immaginare che bastino strumenti sanzionatori e repressivi per rendere le nostre società più inclusive e per dare piena attuazione al principio di uguaglianza sancito dalla Costituzione.

In Italia, il 49% delle donne ha subìto violenza economica almeno una volta nella propria vita. Tra le donne separate o divorziate la percentuale sale al 67 per cento ed è il 27 per cento la percentuale di coloro che afferma di avere subìto decisioni finanziarie prese dal partner senza essere stata consultata prima.

Su questo fenomeno c’è ancora però poca consapevolezza. Solo il 59 per cento dei cittadini e delle cittadine considera la violenza economica una forma di violenza “molto grave”, nonostante sia la più diffusa (38%) dopo quella psicologica (89%) e quella fisica (68%).

CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE, PARTIAMO DAL LAVORO

Mi è stato chiesto tante volte della condizione femminile in Italia e in Europa. La risposta resta sempre la stessa: violenza e discriminazioni sulle donne non saranno mai debellate fintanto che non ci sarà un sostanziale e sostanzioso salto di qualità negli ambienti di lavoro.

Cominciamo col dire che non è ammissibile che una donna debba essere costretta a scegliere tra la maternità e il lavoro. Eppure per una donna su cinque la nascita di un figlio rappresenta l’addio al mondo del lavoro. Un dato disarmante su cui pesano condizione familiare, servizi di welfare e istruzione.

Il tasso di occupazione femminile si attesta al 51,3 per cento. Percentuale che si traduce in 9.763.000 donne occupate contro i 13.452.000 uomini. Il dato risulta tra i peggiori d’Europa. se confrontato con la media europea delle donne occupate (62,7 per cento).

A questo si devono aggiungere sia il tasso di disoccupazione femminile, cristallizzato al 9,1 per cento, contro il 6,8 per cento degli uomini, colpendo in particolar modo la fascia d’età fra i 15 e i 24 anni.

LA DIRETTIVA DEL PARLAMENTO EUROPEO CONTRO IL GENDER PAY GAP

Ma non finisce qui. La disparità tra uomini e donne nel mercato del lavoro si nota anche sul piano salariale. Che le donne, a parità di mansione, guadagnino meno degli uomini non è purtroppo una novità.

Lo scorso anno la differenza salariale tra uomini e donne nel settore privato ha raggiunto quasi 8 mila euro l’anno. La retribuzione media annua complessiva di chi lavora in Italia è di 22.839 euro; per il genere maschile è di 26.227 euro contro i 18.305 euro del genere femminile.

La debolezza economica delle donne perciò si traduce in debolezza sociale, lasciando aperto un varco enorme alle violenze, ai maltrattamenti e agli abusi. La paura di non potere contare su un proprio reddito, nel peggiore dei casi, spinge molte vittime di violenza a non denunciare o a non abbandonare il tetto coniugale.

Al Parlamento europeo mi sono battuta tanto perché fosse approvata una direttiva sulla trasparenza salariale che sono convinta ponga le basi per dare concretezza al principio “Uguale lavoro, uguale salario” ribadito anche nei Trattati europei.

DALLE DESTRE MISURE DEBOLI E NON RISOLUTIVE

L’Italia, i cui partiti di governo hanno scelto di astenersi dal voto al Parlamento europeo sull’adesione alla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, si trova davanti alla necessità di dare risposte ferme e rapide «a ogni livello», come ha ricordato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche in ricordo della 22enne uccisa dall’ex fidanzato.

La legge anti-violenza, approvata a pochi giorni dalla Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, ad esempio, conferma lo stanziamento di fondi per il cosiddetto reddito di libertà, ma si tratta di una misura temporanea e non risolutiva. Il problema resta sempre lo stesso: e le misure strutturali per garantire piena parità di genere e combattere solo allora «a tutti i livelli» la violenza sulle donne?

L’impianto della legge infatti è di tipo repressivo. D’altro canto lo ha detto chiaramente la Premier Meloni quale sia l’obiettivo di questo governo su questo fenomeno: inasprire gli strumenti sanzionatori esistenti ma tagliando i fondi destinati ai centri anti-violenza e glissare sulla prevenzione da portare avanti nelle scuole e nella società intera scardinando dei paradigmi anche culturali, che si autoalimentano con gli stereotipi e la segregazione orizzontale delle donne e di riflesso rapporti interpersonali problematici e squilibrati.

Il vero antidoto contro la violenza di genere, perciò, si compone dell’educazione e dell’indipendenza economica. Solo il lavoro potrà proteggere le donne dalle violenze domestiche, consentendo loro di scegliere in piena libertà come vivere e chi amare.

Lavorare nello specifico sulle giovani generazioni, in modo tale che siano più consapevoli di questo fenomeno sociale per renderle protagoniste di un profondo cambiamento negli assetti di potere che quasi normalizzano la violenza di genere, è la strada certamente più efficace e duratura, lungimirante in una parola, rispetto al refrain dell’inasprimento delle pene, soluzione-bandiera a cui il governo attuale ci ha abituato.