Salario minimo, la legge UE vincola l’Italia. Falso il contrario!

salario minimo

La legge europea sul salario minimo è uno dei provvedimenti più importanti dell’attuale legislatura dell’Unione europea. Tanti di voi sanno quanto mi sono spesa in questi due anni e mezzo per portare a casa un risultato nell’interesse, prima di tutto, dell’Italia.

In Italia si temporeggia ancora…

La legge europea sui salari minimi adeguati ed equi è una conquista storica per i lavoratori e le lavoratrici, per le imprese e per le famiglie. L’approvazione della direttiva, da parte del Consiglio UE dei 27 ministri del Lavoro, andava accolta in questo modo in Italia dove invece c’è stata tanta disinformazione. Sono ancora convinta che la legge UE sul salario minimo vada approvata a tempo di record! Il nostro Paese non può più permettersi di rinviare una scelta politica decisiva sia sul piano economico sia sul piano sociale.

Negli anni in cui, dopo il duro contraccolpo della crisi finanziaria del 2008, l’opinione pubblica europea era sempre più esasperata dalle politiche dell’austerity, diversi grandi Stati europei hanno introdotto il salario minimo per legge. L’Italia invece ha continuato sulla strada dei salari al palo – il solo Paese in tutta l’area OCSE. A lungo, il dibattito sul salario minimo è rimasto polarizzato: ‘Si’ o ‘No’? Tale polarizzazione ci ha fatto perdere tempo prezioso, che la politica italiana avrebbe dovuto sfruttare per occuparsi dei problemi del mercato lavoro e dei salari per impedire il dilagare della povertà lavorativa e garantire invece la concorrenza leale tra le imprese.

La legge europea sui salari minimi non è un optional per l’Italia

Nelle settimane successive all’approvazione della legge europea sul salario minimo, ho replicato a tutte le inesattezze e le semplificazioni circolate su questo provvedimento. Diversi esponenti politici ma anche giornalisti hanno diffuso un messaggio improprio, sostenendo che la direttiva europea non obbliga o vincola i paesi membri ad applicarla.

In realtà, i trattati europei forniscono una definizione molto chiara di questo provvedimento. L’articolo 139 del TFU sancisce che le direttive sono vincolanti per quanto attiene il risultato. Nel caso della legge UE sul salario minimo, uno dei primi obiettivi da raggiungere è la lotta alla povertà lavorativa. Poi, la garanzia della concorrenza leale nel mercato interno contro il dumping salariale e sociale che alimenta delocalizzazioni di tipo predatorio.

La direttiva europea lascia un ampio margine di discrezionalità agli Stati membri solo sulla scelta dei mezzi e delle forme per raggiungere il risultato stabilito. I trattati sono molto chiari sui tempi. Le leggi europee devono essere attuate entro due anni dall’entrata in vigore con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Nel caso in cui lo Stato non recepisca la direttiva europea entro il termine o non la recepisca affatto si apre la procedura d’infrazione.

I casi d’infrazione e i soldi pubblici spesi per pagare le multe

L’Italia è attualmente interessata da 81 procedure d’infrazione, di cui 63 per violazione del diritto dell’Unione europea e 18 per mancato recepimento di direttive. Tra le «infrazioni storiche», una delle più annose ha riguardato la questione delle discariche abusive, per cui lo Stato ha dovuto versare 232 milioni di euro, dal 2015 al 2020. A questo si è aggiunta l’emergenza rifiuti in Campania, che è costata ai contribuenti 217 milioni di euro. Di recente sono arrivati altri nove richiami da parte della Commissione europea. Tra cui quello per il mancato recepimento della direttiva sulla «promozione di veicoli puliti e a basso consumo energetico nel trasporto su strada».

Quando sentite dire che la legge europea ‘non è vincolante’ o ‘non è obbligatoria’ sappiate subito che è falso. L’Italia dovrà fare i conti presto o tardi con questa direttiva, se vorrà evitare di spendere soldi pubblici andando incontro a una procedura d’infrazione e ricorsi dinanzi alla Corte di Giustizia Europea solo perché non siamo riusciti ad adeguare i salari. La legge europea dovrebbe essere recepita nel più tempo possibile per avviare finalmente una riforma della contrattazione collettiva che torni a tutelare i lavoratori, le lavoratrici e le imprese italiane. C’è l’urgenza di mettere al centro le parti sociali e di mettere ordine alla giunga dei contratti collettivi nazionali di lavoro.

 

 

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Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, membro non iscritto.
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