Ucraina, l’Europa è davvero più forte del veto di Orban?

Ungheria

Il 1° febbraio 2024 si è tenuto un Consiglio europeo straordinario, il primo del nuovo anno. Convocato dal presidente, Charles Michel, doveva servire a trovare una soluzione politica per sbloccare l’empasse sugli aiuti all’Ucraina, dopo il veto del Premier ungherese, Viktor Orban, al nuovo pacchetto di oltre 50 miliardi di euro.

Le settimane che hanno preceduto il Consiglio europeo straordinario, intervistata a Rai News 24, ho sottolineato l’importanza e l’urgenza di avviare la riforma dei Trattati europei – come stabilito dal Parlamento europeo l’anno scorso (2023, ndr) – per superare il voto all’unanimità che, dinanzi a sfide o minacce interne ed esterne, blocca e rallenta l’Unione europea nel fornire risposte politiche adeguate e/o necessarie.

ARRIVA IL VIA LIBERA AI NUOVI AIUTI PER L’UCRAINA

La riunione dei 27 capi di Stato e di governo aveva il compito di portare a termine la discussione sulla revisione del bilancio pluriennale dell’Unione europea. Bilancio, che oltre alla guerra in Ucraina – in una fase di stallo – doveva includere nuovi capitoli di spesa legati alla gestione dei flussi migratori, dopo l’approvazione del Patto Asilo e Migrazione con cui l’Unione europea ha deciso di rafforzare la sicurezza delle frontiere esterne e maggiori risorse per le politiche sulla lotta crisi climatica.

Il bilancio pluriennale dell’Unione europea, quindi, “venutosi a trovare sotto pressione”, dinanzi “a sfide senza precedenti e impreviste, tra cui la guerra russa-ucraina, la pandemia Covid-19 e l’aumento dei tassi di interesse” doveva essere sottoposto a una revisione che permettesse all’Unione europea di fronteggiare un contesto internazionale delicato e incerto.

IL RAPPORTO DELL’UNGHERIA CON LA RUSSIA

Come ho raccontato in questo editoriale, alla fine del 2023, la Commissione europea aveva proposto di aumentare il bilancio pluriennale europeo includendo un nuovo pacchetto di aiuti finanziari a favore di Kiev. La proposta era stata però bloccata in Consiglio dal Premier Orban con lo scopo di ottenere in cambio i fondi europei pari a 21 miliardi di euro congelati per via delle violazioni dello Stato di diritto.

Non era scontato che l’Ungheria desse il via libera alla revisione del bilancio pluriennale europeo, visto che il Primo ministro Orban non ha mai nascosto le relazioni politiche ed economiche che lo legano tutt’ora al presidente russo Vladimir Putin.

Budapest ha sempre assunto un atteggiamento ambiguo nei confronti della Russia dall’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Ricorderete sicuramente che Orban si oppose alle sanzioni europee e alla strategia dell’Unione per ridurre la dipendenza del continente dalle forniture di gas e di petrolio provenienti dalla Federazione russa, continuando a fare affari con Mosca e al tempo stesso mantenendo un piede nell’Unione europea e un piede in Russia, nonostante la condanna della NATO, di cui l’Ungheria fa parte, e della comunità internazionale.

E l’ambiguità dell’Ungheria si palesa ancora una volta con il voto contrario all’adesione della Svezia alla NATO, dopo il via libera della Turchia.

TRA GIOCHI POLITICI E RICATTI

Il Premier ungherese non ha mai mostrato segni di cedimento, prima della riunione del Consiglio europeo del 1° febbraio scorso. Anzi. La strategia dell’Ungheria è stata quella di tentare di mettere spalle al muro l’Unione europea impedendo fino alla fine l’invio del nuovo pacchetto di aiuti a Kiev. Tra dicembre 2023 e gennaio di quest’anno infatti si sono rincorse diverse indiscrezioni sulle manovre politiche di Orban per tenere sotto scacco l’Unione su una partita delicata e importante come quella dell’Ucraina.

L’Ungheria avrebbe chiesto alla Commissione e al Consiglio il potere di procedere alla revisione annuale del bilancio pluriennale europeo – formalmente impossibile – eventualmente per rimettere in discussione il pacchetto di aiuti, composto da 17 miliardi di euro di sussidi e 33 miliardi di prestiti. La proposta equivaleva sostanzialmente a un ricatto, ed è stata mal digerita dai 26 Stati membri, anche dagli alleati naturali di Orban che sostengono Kiev contro Mosca tra cui il governo Meloni.

Governo che può vantare di essere stato fondamentale nel convincere Orban a non bloccare nuovamente gli aiuti a Kiev. Così Orban è riuscito a ritagliarsi uno spazio. Ha ottenuto che ogni anno si valutino gli aiuti economici pur non potendo esercitare il diritto di voto. Una valutazione informale – politica – del pacchetto di aiuti a Kiev che rischia di fare scivolare l’Unione europea nell’ambiguità. Non solo. Orban è anche riuscito a ottenere la promessa dello sblocco dei fondi europei congelati.

LE MANOVRE DI ORBAN

Al Premier ungherese dunque interessavano, da un lato, i soldi europei e, dall’altro, stringere alleanze di comodo in vista delle elezioni europee del prossimo giugno. Non è un caso infatti che all’indomani della decisione del 1° febbraio, Orban ha annunciato l’ingresso del suo partito Fidesz nel gruppo parlamentare dei conservatori e dei riformisti europei ECR, fianco a fianco dei sodali italiani di Fratelli d’Italia, anche se dopo le elezioni europee.

I sondaggi prevedono un rafforzamento delle forze conservatrici al Parlamento europeo, e al momento, danno al terzo posto per numero di parlamentari eletti proprio ECR. Forse, tutte queste manovre politiche sul sostegno alla Ucraina sono servite come specchietto per le allodole. Il Premier ungherese si sarebbe mai assunto le responsabilità di un cedimento dell’Ucraina contro l’invasione russa?

NECESSARIO NEUTRALIZZARE I COMPORTAMENTI AMBIGUI

Da anni Orban sfrutta la propria ambiguità in Europa, un piede nella Federazione russa e uno nell’UE. Lo fa a suon di veti che hanno il sapore del ricatto vero e proprio.

Per questo continuo a ribadire la necessità e l’urgenza di dare seguito alle richieste fatte dai cittadini e dalle cittadine europee, che in occasione della Conferenza sul futuro dell’Europa, hanno chiesto la revisione dei Trattati per un’Europa più efficiente e più rapida nel prendere decisioni di interesse collettivo. Oggi con le grandi sfide che ci attendono e quelle che dobbiamo continuare ad affrontare necessariamente con risolutezza, non possiamo più permetterci che un solo Stato, ma soprattutto, un solo uomo possa influenzare la politica dell’Unione.