Migranti, sì al Patto asilo e migrazione. Ma nessuna svolta per l’Ue

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La svolta sui migranti raccontata dal governo Meloni non c’è mai stata in questi otto mesi né in Italia né in Europa. L’8 giugno scorso, il Consiglio europeo dei ministri dell’Interno ha faticosamente raggiunto un accordo sul Patto asilo e migrazione proposto dalla Commissione europea. Dico faticosamente perché sembrava quasi scontato un ennesimo empasse politico e un nuovo rinvio.

Alla fine, complice l’avvicinarsi delle Europee 2024, i paesi europei hanno deciso di accogliere il Patto, anche se non sono mancati alcuni distinguo che sollevano dubbi e perplessità sull’assetto politico dell’Unione europea oggi più che mai dinanzi a determinate sfide ed emergenze per superare le quali c’è bisogno di coesione, cooperazione e solidarietà. Il prevalere delle posizioni più estremiste, xenofobe, sovraniste e ideologiche purtroppo allontanano molto la prospettiva di una Unione europea più forte e più giusta proprio sulla gestione dei flussi migratori. Gestione che è diventata già oggetto del contendere alle prossime elezioni.

Le riforme proposte nel Patto asilo e migrazione andranno a sostituire alcune di quelle previste nel regolamento di Dublino III, criticato da molti paesi europei, soprattutto quelli del bacino del Mediterraneo. L’obiettivo del patto, almeno in teoria, dovrebbe essere quello di attuare finalmente un vero meccanismo di solidarietà e cooperazione tra tutti gli Stati.

COSA PREVEDE IL NUOVO PATTO MIGRAZIONI E ASILO

I punti principali del nuovo patto europeo per i migranti sono quattro. Gli Stati europei dovranno partecipare alla redistribuzione dei migranti con una quota minima di 30mila ricollocamenti ogni anno; alternativamente potranno pagare un contributo di 20mila euro per migrante al fondo comune per la gestione delle frontiere esterne. Elemento che ha fatto scattare subito le proteste della Polonia e dell’Ungheria ma che ha generato aperte divisioni tra i paesi membri. I 20mila euro sopra citati sono solo una proposta, in verità non c’è alcun accordo su questo meccanismo alternativo al ricollocamento dei migranti.

L’esame delle domande di asilo seguirà la cosiddetta “procedura di frontiera”, un iter accelerato e sommario che si dovrà concludere entro 12 settimane dalla presentazione della domanda. Questa procedura verrà applicata ai migranti che attraversano illegalmente il confine europeo o ai richiedenti asilo provenienti da “un paese terzo ritenuto sicuro”. Su questo punto anche c’è una lista di paesi terzi ritenuti sicuri, che viene aggiornata periodicamente, lo ha fatto anche l’Italia. Una prassi però che lascia molto perplessi, dal momento che si riconosce agli Stati europei ampia autonomia e discrezionalità nel definire un paese di partenza o di transito come “sicuro”. Saranno ammessi perciò respingimenti anche verso i paesi di transito e non solo quelli di origine.

Lo Stato responsabile dell’esame della domanda di asilo rimane quello di primo approdo in Europa, e questo è sicuramente il tasto più dolente per l’Italia e il governo Meloni; e il periodo durante il quale uno Stato ha la responsabilità dei migranti arrivati sul proprio territorio raddoppia fino a ventiquattro mesi.

UNA SVOLTA ANCORA LONTANA

Nella newsletter precedente, vi ho già raccontato delle difficoltà riscontrate nel corso della discussione tra i ministri presenti tra i quali persistevano forti contrapposizioni, in particolare tra i paesi del Mediterraneo centrale, considerate le frontiere esterne dell’Europa, i paesi dell’Est del blocco di Visegrad da sempre ostili ai flussi migratori e altri grandi Stati membri come Francia e Germania che lamentano da anni irregolarità nella gestione dei flussi migratori cosiddetti secondari.

Il risultato dell’accordo, ancora una volta, non sembra segnare una vera e propria svolta quanto piuttosto quello di correggere alcune procedure organizzative nella spartizione dei migranti. Appare chiaro infatti che le proposte non si discostano dalla visione miope e parcellizzata sulla gestione dei migranti, frutto dell’inadeguatezza delle politiche europee e nazionali.

Prova ne è la visita in Tunisia, dopo pochi giorni dall’approvazione del patto, da parte della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Primo Ministro olandese Mark Rutte. Durante l’incontro con  il presidente Kais Saied si è discusso di un accordo che dovrebbe essere concluso entro la fine del mese. L’Unione europea potrebbe versare immediatamente nelle casse di Tunisi 150 milioni di euro per sostenere le riforme necessarie richieste dal Fondo monetario internazionale (Fmi) per elargire un prestito da due miliardi di dollari e salvare il paese dal default, previsto ad agosto.

Se l’accordo con il Fondo monetario internazionale sarà concluso, l’Unione europea darebbe a Tunisi altri 900 milioni di euro. Nel pacchetto di aiuti da 900 milioni promesso dall’Unione europea, 105 milioni di euro saranno destinati a un nuovo patto sul controllo della migrazione che prevede azioni congiunte per combattere il traffico di esseri umani, estendere le attività di ricerca e soccorso e aumentare i rimpatri.

STESSO COPIONE

Ma la storia delle politiche europee di gestione dell’immigrazione è costellata di accordi bilaterali o multilaterali di questo tipo che non hanno mai prodotto risultati significativi, almeno per quanto riguarda quella che dovrebbe essere invece una gestione comune del fenomeno migratorio. Con esiti invece pessimi per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani fondamentali e i soccorsi e i salvataggi in mare. Vogliamo ricordare le conseguenze degli accordi in Libia e in Turchia? Parliamo comunque di accordi conclusi con paesi instabili politicamente ed economicamente oppure di Stati guidati da autocrati che non si riconoscono né nei principi né nei valori europei.

Non solo, ammessi gli errori del passato non siamo d’accordo con politiche migratorie basate su accordi con paesi terzi inadeguati a collaborare con l’Unione europea ma pronti a ricevere ingenti risorse pubbliche. Ma ci trova contrari una gestione dei migranti che punta tutto sui respingimenti e i rimpatri, dispendiosi e fallimentari. Ci opponiamo ad un sistema di soccorso e salvataggio in mare, nel rispetto del diritto internazionale, lacunoso e opaco: la tragedia di Cutro ma anche l’ultima strage del Mare Egeo sono la prova lampante che c’è bisogno di investire sulle frontiere esterne dell’Europa in modo intelligente e lungimirante. Umano. L’idea di ripristinare una “mare nostrum” dell’Unione europea e di investire sull’accoglienza e l’integrazione in modo diffuso tra tutti i paesi europei: sono queste le migliori basi per una buona politica migratoria.

…E PARADOSSI IRRISOLTI

In sostanza, quindi, anche se il Consiglio europeo ha raggiunto l’accordo, non cambia moltissimo. Soprattutto senza una volontà politica europea davvero coesa. I paesi di primo approdo dei migranti economici e dei richiedenti asilo restano tali agli occhi dell’Unione europea e spetterà loro trovare le risposte più adeguate alla gestione degli arrivi e della prima accoglienza.

Il governo Meloni lo sa molto bene. Nonostante in tutti questi mesi abbia continuato a parlare di una svolta europea sul tema migranti che in realtà non c’è mai stata.

Inoltre, anche se è passato il principio della solidarietà cosiddetta obbligatoria per i ricollocamenti – dal momento che quelli facoltativi hanno fallito miseramente – è ancora tutto da vedere come si comporteranno i paesi europei più ostili ai ricollocamenti e ai ricongiungimenti familiari: Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia.

Ecco quindi che a una analisi più attenta, l’accordo raggiunto lascia scoperti i fallimenti e i paradossi della strategia sovranista in Europa. I paesi governati dai sovranisti e dalla estrema destra infatti invocano la solidarietà dell’Unione paradossalmente pur essendo i primi a calpestarla con buona pace delle alleanze e dei cartelli politico-elettorali che in questi anni di legislatura abbiamo imparato a conoscere tra i partiti conservatori, e ora, con l’appoggio dei popolari, proprio su questo tema divisivo e complesso. Ora la parola passa al Parlamento europeo, vero banco di prova di alleanze e cartelli politici che sicuramente metteranno in secondo piano i contenuti veri e i problemi irrisolti.