Patto di Stabilità, al via la riforma: ottimo segnale (con riserva)

Patto di Stabilità

Tre anni di attesa e ora finalmente la Commissione europea ha presentato la proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita. Dall’inizio del mio mandato da europarlamentare, ho sempre sostenuto la necessità di rivedere i parametri economici imposti a metà degli anni Novanta dall’Unione europea ai paesi membri. Gli stessi che con la crisi finanziaria del 2008-2011 si sono rivelati insostenibili e inattuabili.

Le regole del ‘vecchio’ Patto di Stabilità e Crescita si sono dimostrate poco utili per lo sviluppo. Ma sicuramente pesantissime per i cittadini, che negli anni della crisi, hanno assistito a tagli alla spesa pubblica e alla spesa sociale in nome di un eccessivo rigore dei conti pubblici. Rigore che non a caso è stato messo da parte con la pandemia Covid-19 e con il conflitto russo-ucraino. Il Patto di Stabilità e Crescita infatti è stato sospeso fino al 2023. Prima di allora è fondamentale che l’Ue giunga a un accordo di riforma chiaro.

Quando e perché nasce il Patto di Stabilità

Il Patto di Stabilità e Crescita nasce circa 20 anni fa. È stato sottoscritto dai Paesi membri dell’Unione europea nel lontano 1997. Allora imporre rigidi vincoli di bilancio aveva un senso, perché l’Europa era uscita devastata dall’inflazione degli anni Ottanta, dagli shock petroliferi degli anni Settanta e dagli attacchi speculativi sulle valute nazionali.

Nell’idea originaria della Commissione europea, il Patto di Stabilità e Crescita avrebbe dovuto evitare che le politiche di bilancio degli Stati membri andassero in direzioni potenzialmente problematiche. Intendeva quindi correggere disavanzi o livelli di debito eccessivi.

I tre pilastri della proposta

La proposta di riforma del Patto di Stabilità e Crescita della Commissione europea si fonda sulla convinzione che le regole dovrebbero essere più chiare e più semplici e avere come obiettivo una crescita finanziariamente sostenibile con governi capaci di tendere a una riduzione del debito pubblico. La riforma si regge su tre pilastri.

Qui un’infografica che li riassume in sintesi

  1. Divisione dei paesi membri in gruppi, in base al livello di debito pubblico. Basso (un rapporto debito/Pil inferiore al 60%), moderato (grosso modo tra il 60 e il 90%) e alto (oltre il 90%).
  2. Riforme e degli investimenti. Nel percorso di aggiustamento del livello del debito pubblico, indicato dalla Commissione, gli Stati europei dovranno discutere con la stessa Commissione un Piano almeno quadriennale che includa una serie di riforme e investimenti da fare, in particolare per accelerare la transizione verde e digitale.
  3. Sanzioni. Restano le procedure per deficit eccessivo o debito eccessivo. La novità è rappresentata dall’opzione di sospendere l’erogazione dei fondi europei se un Paese si allontana eccessivamente dalle soglie massime del 3% del rapporto deficit/Pil e del 60% debito/Pil.

Le mie considerazioni

Ho accolto positivamente la notizia della proposta di riforma della Commissione europea. Ci sono però dei passaggi della riforma, che credo vadano migliorati. Per farlo c’è bisogno di una Italia credibile, autorevole e della coesione dei 27 paesi membri.

Ritengo controproducente la distinzione in gruppi dei paesi europei in base al livello di debito pubblico. Questo approccio può fare sicuramente contenti i paesi frugali, ma non è una premessa adeguata per il nuovo Patto di Stabilità e Crescita.

Tale distinzione infatti sembra rievocare la frattura che si era creata con la crisi del debito tra il 2008-2011. Peraltro alimentata anche da attacchi speculativi contro determinati Stati europei, Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia, con debiti pubblici storicamente più alti. Questa impostazione quindi sembra volere riproporre una distinzione tra Stati del Nord Europa e Stati del Sud Europa. I commissari Gentiloni e Dombrovskis hanno dichiarato che con la loro riforma intendono dare spazio tanto alla crescita quanto alla stabilità economico-finanziaria dei paesi membri. Bene. Allora questa divisione in gruppi in base al livello di debito va sicuramente superata.

Anche le soglie massime del 3% e del 60% del ‘vecchio’ Patto di Stabilità e Crescita andrebbero riviste. La riforma parla di ‘tendenza’ ed è già un buon segnale. Credo si possano trovare nuove soglie compatibili con le sfide sociali ed economiche che attendono l’Unione europea nei prossimi anni. La flessibilità alla quale hanno accennato i due commissari nel corso della conferenza stampa di presentazione della proposta di riforma va rafforzata perché a tutti gli Stati membri sia data la stessa opportunità di crescita e di sviluppo.

Per questo, considero fondamentale scorporare dai vincoli di bilancio tutti gli investimenti sociali, verdi e digitali. L’idea di un Piano non mi convince. Sono convinta che serva invece puntare al ritorno di medio e di lungo periodo degli investimenti e delle riforme realizzate dai paesi membri.

Quindi, finalmente, iniziare a ragionare in termini di spesa pubblica buona e spesa pubblica cattiva e di conseguenza di debito pubblico buono e debito pubblico cattivo.

Quali priorità

Dobbiamo perciò concentrarci sulle priorità del Patto di Stabilità e Crescita che non devono essere solo l’ordine dei conti pubblici, come se tale ordine fosse sempre indispensabile per la stabilità economica di un Paese. Dobbiamo puntare alla crescita che significa investimenti, sostenibilità ambientale, nuovi posti di lavoro e sostegno alle persone svantaggiate.

Lo scorporo degli investimenti verdi e sociali dal rapporto deficit- Pil deve essere al centro della riforma del Patto di Stabilità e Crescita per rompere definitivamente col passato. Se si dovesse tornare oggi alle vecchie regole, Bruxelles sarebbe costretta a chiedere politiche di Austerity, tagli alle politiche sociali, ai servizi essenziali, aumenti delle tasse a tutti gli Stati membri. Tutti i paesi europei sarebbero coinvolti, ed è uno scenario da evitare. Abbiamo ancora gli strascichi della pandemia da affrontare, povertà ed esclusione sociale, e una crisi energetica ed alimentare generata dal conflitto russo-ucraino dagli esiti incerti. L’Unione europea quindi deve avere il coraggio di voltare pagina con una riforma credibile improntata al futuro e profondamente diversa dal passato.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti. Le opinioni espresse sono di responsabilità esclusiva dell’autore o degli autori e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Parlamento europeo.