Sanità, nuovi tagli e zero programmazione. Futuro nero.

diritto alla salute

Settembre è arrivato. Come ogni anno, è il mese in cui la discussione politica e parlamentare è tutta concentrata sulla legge di Bilancio e più in generale sul reale stato dei conti pubblici. Al 43° Forum di Cernobbio, il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, è stato molto chiaro: “Sarà una manovra prudente”. Il che all’atto pratico significa dovere rinunciare alle promesse elettorali delle destre, come la flat tax, ma soprattutto nuovi tagli. Vittima sacrificale, ancora una volta, la Sanità, servizio pubblico essenziale costituzionalmente garantito, letteralmente sull’orlo del collasso.

DIRITTO ALLA SALUTE, SOS RISORSE

Diritto alla salute

Lo scorso anno il ministro della Salute, Orazio Schillaci, aveva promesso quattro miliardi di euro per il Servizio sanitario nazionale da spalmare sul 2024 e il 2025, immaginando di poter contare anche sulle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Proprio il PNRR, alla missione 6, prevedeva il potenziamento del SSN a livello territoriale attraverso la costruzione delle Case della Comunità, gli Ospedali della Comunità, gli Ospedali sicuri e sostenibili. E, inoltre, i progetti di transizione digitale (telemedicina, digitalizzazione dei DEA e sostituzione delle grandi apparecchiature).

La proposta di revisione del PNRR presentato alla Commissione europea dal ministro per le Politiche Comunitarie, Raffaele Fitto, contiene tra le altre cose tagli consistenti agli obiettivi originariamente fissati nel Piano, per puntare solo in un secondo momento all’utilizzo delle risorse destinate alla edilizia sanitaria e alla riprogrammazione di quelle del Fondo per la coesione e lo sviluppo (FSC). Sulla revisione del PNRR ho scritto qui. 

E, intanto, dopo l’annuncio del ministro Giorgetti sulla prossima manovra economica è chiaro che il SSN non vedrà  i quattro miliardi promessi. Il diritto alla salute è sempre più a rischio. Eppure, con la pandemia Covid-19 doveva cambiare tutto. La svolta era arrivata dall’Europa, in primis, con il Next Generation Eu. Purtroppo, non è cambiato nulla.

UN DIRITTO DI TUTTI?

Il SSN si fonda sull’articolo 32 della nostra Costituzione che al primo comma stabilisce che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. I principi cardine sono la universalità, l’uguaglianza e l’equità. Chiaramente, l’accesso alle prestazioni sanitarie deve essere garantito a tutta la popolazione, senza distinzioni sociali ed economiche.

Eppure i numeri ci dicono che il SSN italiano sta perdendo i caratteri della universalità, uguaglianza ed equità. Il diritto alla cura sta diventando un diritto di pochi. Allarmanti i dati sulle famiglie: oggi, infatti, il 5,2 per cento – circa un milione e 350mila nuclei – è costretto a spendere il 20 per cento dei propri redditi per comprare farmaci o per seguire cure mediche essenziali. Circa 380 mila famiglie rischiano così di impoverirsi.

TAGLI, TAGLI E ANCORA TAGLI

Dannosa la strategia dei continui tagli alla Sanità pubblica, che lascia spazio a quella privata, secondo una logica che, come ha detto correttamente il Presidente della Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, vede la Sanità come “una sorta di salvadanaio sempre aperto, a cui è possibile attingere per qualsiasi necessità”. “La fetta di spesa pubblica più facilmente aggredibile”.

L’esperienza disastrosa e drammatica vissuta con la pandemia Covid-19 non ha impedito il ripetersi di un copione che aggrava di anno in anno i limiti e le carenze del SSN italiano in termini di capillarità sul territorio, di tempi di attesa, di qualità del lavoro per il personale sanitario e socio-sanitario e infine di disparità tra Regioni che si fanno sempre più marcate e insopportabili per i cittadini e le cittadine. Non c’è da sorprendersi quindi che sfogliando i giornali si leggano storie di strutture ospedaliere costrette a dire ai propri pazienti, non importa che siano affetti da cancro, di andare altrove. Di farsi curare in un’altra Regione. 

Sanità
L’articolo de La Stampa del 6 settembre 2023

 

IL PERICOLO AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Proprio le disparità territoriali sulla Sanità pubblica rischiano di aggravarsi con l’autonomia differenziata. Il disegno di legge Calderoli che punta a creare di fatto Regioni di serie A e Regioni di serie B apre la strada alla privatizzazione ‘selvaggia’ e incosciente del SSN, là dove gli enti territoriali intendono tagliare sul servizio pubblico per risparmiare risorse.

Anche ammettendo che il federalismo regionale – introdotto con la riforma del Titolo V – non abbia giovato al SSN perché, di fatto, non c’è mai stata una leale collaborazione tra le Regioni e lo Stato centrale sui finanziamenti e gli investimenti, l’autonomia differenziata è sicuramente il peggiore scenario possibile per il futuro del servizio sanitario nazionale.

Un futuro in cui le Regioni più ricche potranno non mettere alcun limite ai privati e al tempo stesso assicurare poche strutture ospedaliere pubbliche d’eccellenza,. E le Regioni più povere del Mezzogiorno saranno abbandonate a loro stesse. Dell’autonomia differenziata ho scritto qui. 

IL FATTORE INFLAZIONE

Ancora prima dell’annuncio del ministro dell’Economia al Forum Ambrosetti sapevamo che il governo Meloni, costretto a rinunciare alle promesse fatte in campagna elettorale, avrebbe fatto poco o nulla per il SSN. Già con la legge di Bilancio per il 2023, i soldi destinati alla Sanità – circa 2,3 miliardi di euro – non sono bastati a colmare l’aumento del livello generale dei prezzi che continua a mordere famiglie e imprese.

E ora che i quattro miliardi di euro inizialmente stanziati non sono più certi, il SSN si ritroverà con meno risorse degli anni precedenti. Senza i quattro miliardi promessi dal ministro Schillaci infatti i tagli colpiranno la disponibilità di farmaci gratuiti, gli esami diagnostici per i quali i tempi di attesa, anche per i malati cronici, sono divenuti insostenibili e naturalmente i posti letto nelle strutture ospedaliere.

ITALIA SOTTO LA MEDIA OCSE E UE

diritto alla saluteGli investimenti pubblici sulla Sanità italiana sono impietosi rispetto alla media europea e alla media OCSE. Ferma al 6,8 per cento del Prodotto interno lordo, l’Italia si colloca agli ultimi posti nell’Unione europea (7,1 per cento) davanti solo alla Spagna, al Portogallo, alla Grecia e agli Stati dell’Est Europa.

Complessivamente, la Sanità pubblica ha già subito 47,6 miliardi di euro di tagli nell’arco di 15 anni. Una situazione che si è andata via via aggravando, nonostante gli 11,4 miliardi di euro investiti tra il 2020-2022 con la pandemia Covid-19. Ma sui 130 miliardi di euro complessivi del Fondo sanitario nazionale, pesante che 15 miliardi di euro sono andati bruciati a causa dell’inflazione.

DALLA PROPAGANDA ALLA REALTÀ

In pratica, delle “mirabolanti” promesse fatte dalle destre italiane durante la campagna elettorale si potrà realizzare molto poco, dal momento che la necessità principale è quella di far quadrare i conti. Non ci sarà nessuna Quota 103 e neppure una flat tax per tutti. Le risorse disponibili sono limitate e non sono sufficienti a rendere concrete riforme di questo tipo.

Sicuramente, al Paese servirebbero i quattro miliardi di investimenti promessi per la Sanità pubblica. E una pianificazione della spesa sanitaria a livello nazionale e un raccordo tra Regioni e Stato. Senza contare che la disastrosa condizione in cui versa il SSN dipende molto, oggi, anche dal problema della carenza di personale. Allarmante la fuga di medici e infermieri all’estero, perché pagati poco, precari e costretti a turni massacranti. Per cui il governo Meloni dovrebbe dare priorità al rinnovo dei contratti scaduti e al salario minimo.

Da un lato, è forse positivo che questo governo abbia preso consapevolezza di quel che si può fare e di quel che non si può fare con la manovra economica. Dall’altro, la sua visione del Paese, basata su tanta propaganda e poche soluzioni, sta andando palesemente in mille pezzi dinanzi alle responsabilità politiche nei confronti dei cittadini e dell’Europa.