Così l’inflazione può incidere sull’agenda italiana ed europea

inflazione

L’inflazione non è più uno “spauracchio”, ma una minaccia alla ripresa post pandemica e un problema nazionale, europeo e globale. Soprattutto ora con l’invasione, illegittima, dell’Ucraina da parte della Russia che ha fatto schizzare i prezzi del gas naturale e del petrolio. I beni energetici dai quali è nata e si nutre ancora l’inflazione attuale.

Sta maturando un tempo ‘propizio’, perché l’Unione europea acceleri sulla riforma della governance economica. Il primo passo è stato compiuto, di fatto, nel marzo 2020, prima, con la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita, e mesi più tardi, con il Next Generation Eu.

Questa crisi ha fatto cadere, letteralmente, la dicotomia tra Stati di serie A e Stati di serie B emersa con la implosione dei debiti sovrani tra il 2013 e il 2014 e ha aperto invece lo spazio per un processo di cambiamento, seppur lento e graduale, verso una nuova Europa.

Con l’inflazione serve più che mai il salario minimo

Occupandomi al Parlamento europeo dei temi legati al lavoro e alle politiche sociali ho fatto presente in Commissione Occupazione e Affari Sociali quanto l’inflazione sia un serio rischio per la tenuta del mercato del lavoro, già duramente provato dalla pandemia.

L’ho fatto in occasione della discussione sul Pacchetto d’Autunno. Anche e soprattutto rivolgendomi ai commissari europei ai quali ho ricordato l’eccessivo ottimismo delle previsioni economiche elaborate da Bruxelles nel 2021 per il 2022.

Questa inflazione, tutt’altro che un fenomeno “transitorio”, dovrebbe dettare l’agenda europea e italiana. Alcune questioni sono state trascurate ma non è ancora troppo tardi.

Gli aiuti alle imprese e alle famiglie con i redditi bassi sono indispensabili nel breve e nel medio periodo per impedire un collasso dell’economia. Nel lungo periodo ci sono provvedimenti invece sui quali non ci possiamo più interrogare.

Io insisto sul salario minimo. I dati impietosi sulla povertà lavorativa, soprattutto in Italia, dovrebbero mettere molta fretta al Parlamento sul disegno di legge. Le bollette e in parte i carrelli della spesa sono sempre più salati mentre prosegue la stagnazione dei salari che va avanti dal 1990 e sta portando il Paese indietro di 20 anni.

La retribuzione minima è in grado di salvaguardare i lavoratori dall’erosione del potere d’acquisto. Paesi europei come la Germania e la Spagna lo hanno capito e questa settimana i governi hanno aumentato il salario minimo a milioni di lavoratori, in particolare giovani e donne più penalizzati dalla crisi pandemica.

L’Italia cosa aspetta?

Il nostro Paese e l’Unione europea devono scongiurare il punto di non ritorno. Se si contraggono i consumi e la domanda rischiamo di andare verso una depressione economica: lo scenario peggiore.

Sarebbe ottimale, invece, riuscire ad arrivare alla approvazione definitiva della direttiva europea entro metà 2022.

Con salari armonizzati ma legati al costo della vita di ciascuno Stato possiamo affrontare anche tutta una serie di squilibri che ancora permangono nel mercato europeo: dumping salariale, concorrenza sleale e delocalizzazioni predatorie.

Perché l’inflazione rischia di travolgere prima di tutto il lavoro

Si moltiplicano le grida d’allarme dai territori: aziende che rischiano di chiudere, famiglie già colpite dalla pandemia che sprofondano nella povertà, enti locali economicamente in affanno.

L’Unione europea ha preservato i livelli dell’occupazione grazie allo SURE e vorrei che da strumento temporaneo ed emergenziale diventi strutturato e permanente perché l’Unione possa in questo modo preservare la tenuta dell’intero sistema economico.

Sono fiduciosa; in occasione dell’ultima audizione in Commissione Occupazione e Affari Sociali, il Commissario Gentiloni non solo ha accolto questa mia richiesta ma ha anche dichiarato che non torneremo più all’austerità e agli ‘stretti’ vincoli di bilancio.

Sono convinta che riuscirci in questa nuova e difficile fase economico sociale sarebbe molto importante. Mi permetto di dire, cruciale.

Per combattere l’inflazione la politica monetaria, da sola, non basta

Credo che la Banca Centrale europea giochi sempre un ruolo molto importante. Lo abbiamo visto con la crisi economico finanziaria del 2008. Credo anche, però, che l’attuale crisi abbia una matrice diversa, dagli esiti non ancora del tutto prevedibili.

Basta guardare il ‘palcoscenico’ geopolitico.

Non è affatto pacifico oggi che alzare i tassi di interesse sia la migliore soluzione nell’immediato.

Certo, un’inflazione che cresce così, a ritmi sempre più sostenuti e che si sta diffondendo a tanti beni primari (e non), non può più essere trattata come un fenomeno transitorio ma diciamo perlomeno come un fenomeno di medio periodo.

Per questo, ritengo che l’Unione europea abbia bisogno prima di tutto di rinvigorire l’economia reale.

Il coordinamento delle politiche fiscali in Europa

Cruciale che la Banca Centrale europea non decida di mettere fine al programma di acquisto dei titoli di Stato da un giorno a un altro, magari pronunciando dichiarazioni pericolosamente contraddittorie. Come è avvenuto, purtroppo, soltanto il mese scorso.

Il programma è importante per l’Italia, certo, ma anche per tutta l’Unione che non ha ancora chiuso la partita della pandemia.

Nel lungo periodo visto che non sono convinta che un intervento della BCE sui tassi possa bastare comunque per calmierare il rialzo dei prezzi, l’Unione deve optare finalmente per un coordinamento delle politiche fiscali garantendo così la redistribuzione della ricchezza e la lotta al dumping fiscale.

Come la politica dovrebbe affrontare questa nuova fase

Senza ideologia. Ad esempio, come intendiamo vincere la crisi climatica mentre altre crisi sistemiche possono sempre concretizzarsi? Col Green Deal l’Unione europea dovrà accelerare per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sulla transizione energetica ed ecologica. Ci sono delle tappe da rispettare per impedire l’irreversibile aumento delle temperature attorno a metà del Secolo.

In una situazione così delicata credo manchi ancora una idea sul metodo. La neutralità climatica ha un costo, pensiamo alle materie prime o alle infrastrutture.

Questa transizione può apportare enormi benefici economici e sociali ma è fondamentale iniziare a fare una selezione: quali tipologie di produzione i paesi intendono preservare o valorizzare? Ciò premesso, politica e istituzioni si assumano la responsabilità di difenderle e di farle crescere.

Dobbiamo metterci in testa che c’è una differenza tra “debito buono” e “debito cattivo”. Per questo continuo a ribadire: riformiamo il Patto di Stabilità e Crescita, scorporando in questo caso gli investimenti verdi e sociali.

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L’obiettivo ultimo dell’Unione europea deve restare quello di lasciarsi per sempre alle spalle la stagione dell’austerità spezzando definitivamente i “lacci e i lacciuoli” che non hanno affatto favorito una crescita sana.

L’Europa scriva pagine nuove ed inedite approfittando di questa nube che potrebbe trasformarsi in una pericolosa tempesta in grado di vanificare i Piani di Ripresa e Resilienza e tutti gli ambiziosi obiettivi sulla lotta al cambiamento climatico, il rafforzamento della dimensione sociale e la migliore trasformazione tecnologica e digitale.

Il “timing” giusto per cambiare la politica energetica europea

I prezzi del gas naturale e del petrolio russo sono alle stelle, anche a causa dell’attacco militare di Mosca contro Kiev. Potrebbe durare settimane o forse mesi. Difficile dirlo con certezza.

C’è una sola consapevolezza: il Tallone di Achille dell’Europa è la dipendenza dalle forniture di gas russo e la cattiva tendenza dei paesi di agire non in modo coeso su questo fronte.

Ogni Stato membro è libero di scegliere la politica energetica da perseguire, mentre l’Europa ha stretto un accordo con Mosca che si sta rivelando svantaggioso e dannoso perché lega il prezzo delle forniture al mercato.

I primi settori che subiscono gli scossoni delle crisi sono proprio quelli delle materie prime e dei beni energetici. Nel breve e nel medio periodo non ci sono dubbi che l’inflazione continuerà a causa del rincaro del gas naturale e del petrolio.

Nel lungo periodo, invece?

Speculazioni, tensioni geopolitiche in corso – prima la Bielorussia ora l’Ucraina –confermano che la Russia non è un partner commerciale (e politico!) affidabile.

In trent’anni l’Unione europea di fatto si è sempre mossa in ordine sparso sulla politica energetica come su quella estera, d’altronde.

È giunto il momento di fare fronte comune perché questa inflazione non peggiori, scaricando pesantemente i suoi effetti sulla ripresa post pandemica e impedendo una crescita economica e sociale sana, equa e duratura.

 

Servizio offerto da Daniela Rondinelli, deputata al Parlamento europeo, non iscritti.
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