Iniziamo dalla contrattazione collettiva per il lavoro del futuro

contrattazione collettiva

Il Parlamento europeo ha approvato nella mini Plenaria di Bruxelles che si è svolta tra il 31 maggio e il 1 giugno scorsi, una importante risoluzione sul rafforzamento del dialogo sociale.

Senza il buon funzionamento della contrattazione collettiva, il mercato del lavoro italiano è destinato al collasso.

Per questo, sono convinta che oltre alla direttiva europea ‘salari minimi adeguati’, che vincola gli Stati membri a rafforzare il ruolo della contrattazione collettiva, il governo Meloni deve assumersi l’impegno di migliorare le condizioni di lavoro, la qualità dell’occupazione e combattere le crescenti disuguaglianze economiche e sociali del Paese. Il presidente del Consiglio la smetta di diffondere fake news sul salario minimo e di sottovalutare la povertà e la precarietà che pesano sul mercato del lavoro italiano. Non giri la testa dall’altra parte, offrendo a milioni di lavoratori e lavoratrici una inadeguata ricetta fiscale con la quale non ci saranno né sviluppo né benessere per tutti.

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RAFFORZARE IL DIALOGO SOCIALE

Vi starete chiedendo: ma che cos’è il dialogo sociale? Non è una espressione molto diffusa in Italia, dove sentiamo parlare più che altro di contrattazione collettiva. In realtà, il dialogo sociale è il pilastro dei principi e dei diritti fondamentali del lavoro e ricomprende tra le altre cose la libertà di associazione e il riconoscimento effettivo della contrattazione collettiva.

Il dialogo sociale, quindi, si riferisce ai processi di informazione, consultazione e negoziazione che normalmente si svolgono tra i rappresentanti dei governi, dei datori di lavoro e infine dei lavoratori e delle lavoratrici su questioni di interesse comune e relative alla politica economica e sociale del Paese. 

Il dialogo sociale è (o almeno dovrebbe essere) l’ingranaggio fondamentale di un sistema nazionale di relazioni industriali ed economiche sano e prospero. I paesi che hanno un dialogo sociale forte e un’elevata copertura della contrattazione collettiva, ma che funzioni bene!, tendono ad avere un’economia più competitiva, inclusiva e resiliente.

LE FAKE NEWS DEL GOVERNO MELONI

In questa risoluzione del Parlamento europeo, a cui ho lavorato nei mesi scorsi, si raccomanda i paesi europei di garantire l’80 per cento dei rapporti di lavoro pubblici e privati con una contrattazione collettiva adeguata e soprattutto che funzioni bene. Ed è qui che, nel caso dell’Italia, casca l’asino. Perché tra le fake news del governo Meloni, e delle destre italiane tradizionalmente contrarie all’introduzione del salario minimo, c’è quella dell’essere più che allineati con gli altri Stati europei in cui naturalmente la contrattazione collettiva è centrale per il sistema di relazioni industriali ed economico.

In effetti, in Italia oltre il 90% dei rapporti di lavoro tra settore pubblico e settore privato è coperto dai cosiddetti contratti collettivi nazionali di lavoro (o CCNL).

Peccato però, come spiego più avanti, che questa percentuale sia in un certo senso ‘gonfiata’. E lo è proprio perché la contrattazione collettiva non funziona come dovrebbe, insidiata da centinaia di contratti di comodo o pirata e dall’assenza della rappresentanza sindacale in diversi settori produttivi, soprattutto, quelli in cui i lavoratori e le lavoratrici sono atipici e/o legati a nuovi ambiti professionali.

CONTRARI I CONSERVATORI EUROPEI

Durante i negoziati sul testo arrivato in aula, le forze conservatrici e liberali del Partito Popolare Europeo hanno provato a indebolire la risoluzione del Parlamento europeo con l’obiettivo di ostacolare il processo di rafforzamento del dialogo sociale e della concertazione. Nel corso dei lavori sul testo, infatti, i Popolari europei ma anche i liberali e i conservatori hanno tentato di indebolire il ruolo dei sindacati, della libertà di associazione e i diritti sociali dei lavoratori e delle lavoratrici, spingendo in modo pericoloso verso gli accordi aziendali che fanno i soli interessi dei datori di lavoro.

Il prevalere degli accordi aziendali infatti favorisce il proliferare di sindacati “gialli”, gli stessi che firmano contratti di comodo o pirata in cui i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici sono compressi e i salari orari sono al di sotto della soglia minima di dignità, favorendo così sfruttamento, abusi e precarietà. Come se non bastasse, i centristi e le destre hanno cercato di indebolire anche il principio della condizionalità sociale che l’Unione europea sta promuovendo nei Paesi membri per impedire che le aziende possano accedere ai finanziamenti quando non garantiscono adeguate condizioni di lavoro, perseguono il lavoro nero o irregolare infine esercitano il caporalato sui propri dipendenti.

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ITALIA LONTANA DAGLI OBIETTIVI EUROPEI

Come Partito Democratico e Socialisti & Democratici siamo riusciti a proteggere la contrattazione collettiva e i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. Siamo convinti infatti che la contrattazione collettiva debba continuare a svolgere una funzione cruciale di garanzia e di tutela in tutti i settori ma anche nelle pubbliche amministrazioni, contro quelle forme di contratti di comodo e pirata e contratti mai rinnovati che pesano molto in Italia.

Di fatto quindi l’Italia ha molto lavoro da fare: in primo luogo perché è urgente rilanciare il ruolo della contrattazione collettiva; in secondo luogo perché il Paese ha bisogno di una riforma sulla rappresentanza sindacale. Il governo Meloni tace sia sui contratti pirata sia sui contratti scaduti e mai rinnovati anche fino a 10 anni. Il mio invito quindi a guardare la luna e non il dito. Ad affidarsi ai dati disponibili. Come quelli stranoti del numero di accordi registrati e depositati al Consiglio Nazionale Economia e Lavoro che al 3 febbraio 2022 erano quasi mille, di cui scaduti 516, pari al 62% del totale degli accordi depositati: coinvolti circa otto milioni di lavoratori.

Questa percentuale è sicuramente più alta, perché il monitoraggio non considera i contratti del settore agricolo e quelli del lavoro domestico. C’è poi il problema che tante categorie di lavoratori oggi non sono proprio coperte dalla contrattazione collettiva. Questo è quindi il primo aspetto su cui intervenire. L’Europa chiede infatti una contrattazione collettiva “genuina”. Un concetto chiaramente espresso anche nella direttiva sul salario minimo su il governo Meloni continua a fare orecchie da mercante.

SALARIO MINIMO SIA UNA PRIORITÀ

Se il salario minimo resta un miraggio, non è sicuramente una buona notizia per milioni di lavoratori e lavoratrici. Oggi più che mai che l’Italia ha assunto l’impegno di realizzare il Piano nazionale di ripresa e resilienza mentre proprio dalle pubbliche amministrazioni professionisti ed esperti fuggono denunciando salari bassi e contratti precari.

Davanti a noi c’è la fotografia di un Paese europeo, dove un tempo la contrattazione collettiva era il cuore pulsante del sistema di relazioni industriali e che negli ultimi due decenni si è indebolita molto lasciando scoperti milioni di lavoratori e lavoratrici alle prese con buste paga da fame, precarietà, il problema del mismatch di competenze e la eccessiva frammentazione e deregulation in diversi settori produttivi.

Una situazione non più sostenibile. Gestita a colpi di propaganda e misure che rischiano di alimentare i problemi del mercato del lavoro (leggi qui sul decreto Lavoro), che ci fa capire come questo governo abbia altre priorità e altri obiettivi che non condividiamo.