Allevamenti dei bovini salvi! No, non inquinano come una ciminiera

Allevamenti di bovini

Gli allevamenti dei bovini non saranno considerati inquinanti al pari degli stabilimenti industriali! Con la votazione dello scorso 11 luglio alla Plenaria del Parlamento europeo è passata la nostra linea che li esclude dalla direttiva europea sulle emissioni industriali (IED). Una vittoria per gli allevatori italiani, in modo particolare i piccoli allevatori, che secondo l’idea della Commissione europea avrebbero dovuto ingiustamente adeguarsi a norme ambientali molto stringenti che si applicano, da tempo e a ragione, invece, agli allevamenti di pollame e suini.

I dati scientifici ci dicono infatti che non possono essere tra loro equiparati in termini di impatto ambientale ed è su tali evidenze che ho sostenuto assieme al collega Paolo De Castro la proposta di stralciare tutti gli allevamenti dei bovini, a prescindere dal numero di capi, dalla direttiva europea sulle emissioni industriali. Sui temi ambientali ritengo che i decisori politici debbano farsi guidare da dati scientifici consolidati e aggiornati e su di essi elaborare poi proposte concrete, realistiche e monitorabili.

GLI ALLEVAMENTI DEI BOVINI NON INQUINANO COME LE CIMINIERE

Mi sono opposta all’estensione della direttiva sulle emissioni industriali per due motivi: in primo luogo, quando la Commissione europea aveva proposto di applicare tale legge anche ai piccoli allevamenti di bovini che da soli non sarebbero riusciti a sostenere i costi di adeguamento a una normativa ambientale molto stringente. In secondo luogo, perché l’idea di estendere la direttiva IED agli allevamenti di bovini era stata basata su dati scientifici obsoleti.

La mia decisione è il frutto di un lavoro in Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale del Parlamento europeo, dove abbiamo tenuto conto che i gas serra prodotti dai bovini sono diversi da quelli prodotti dal pollame o dai suini. Inoltre, che la Commissione europea avrebbe costretto i piccoli e i medi allevamenti a sacrificarsi e a chiudere, tenendo conto anche dell’aumento dei costi di produzione dovuti alla inflazione e al conflitto in Ucraina, lasciando così il mercato ai grandi allevamenti intensivi dotati certamente delle risorse per adeguarsi più velocemente agli standard ambientali previsti dalla direttiva. O, in alternativa, a compensare la domanda interna di carne, acquistando da Paesi terzi a cui non si applicherebbero comunque le stringenti norme ambientali di questa legge europea e sicuramente meno attenti al benessere animale.

I RISCHI

Ricordo infatti che secondo alcune stime, occorrono oggi circa 10.000 euro per effettuare uno studio preliminare e tra i 40 e i 50mila euro per mezzi più adeguati a gestire e limitare le emissioni prodotte. Con queste cifre, in Italia un’azienda su quattro non sarebbe riuscita a far fronte ai pagamenti immediati e a coprire i costi correnti. Resto dell’idea quindi che gli obiettivi ambientali devono restare ambiziosi ma che le politiche per raggiungerli devono rimanere proporzionate ed equilibrate per il settore privato senza il quale l’Unione europea non può portare a termine la transizione ecologica.

Lo stesso giorno in cui abbiamo raggiunto questo importante risultato, ho mantenuto il medesimo approccio in occasione della votazione sulla contestatissima Nature Restoration Law su cui sono state purtroppo diffuse tante fake news in un caotico dibattito politico, preludio di una accesissima campagna elettorale per le Europee 2024, e che ha visto contrapposti estremismi di segno opposto.  

Io scelgo la strada del confronto e della sintesi alta degli interessi. Tutelare l’ambiente è possibile solo con misure pragmatiche e realistiche che non stravolgano la nostra agricoltura o cancellino posti di lavoro. La transizione ecologica sia una opportunità sociale ed economica, non una fonte di nuove ingiustizie o squilibri socio-economici.

Insomma, le emissioni di anidride carbonica di un allevamento di bovini si riassorbono più velocemente; come è noto i liquami sono fondamentali per la produzione di fertilizzanti in una ottica di economia circolare. È logico quindi pensare che la impostazione della Commissione europea avrebbe favorito non solo la industria zootecnica ma anche la produzione di carne sintetica. Ricordo che Bruxelles diede il via libera alla sperimentazione da parte di due multinazionali olandesi. Ritengo che dietro la narrazione degli allevamenti come fonte primaria di inquinamento a livello globale si nasconda l’idea di un modello di produzione di carne, per l’appunto di laboratorio, che si racconta essere a zero emissioni. E’ così? Può sembrare banale ma non lo è invece. Mentre i bovini sono comunque parte del ciclo di vita un bioreattore no.

COS’È LA DIRETTIVA SULLE EMISSIONI INDUSTRIALI DELL’UE

Perché gli allevamenti dei bovini andavano esclusi dalla direttiva sulle emissioni industriali? Semplice. Questa legge europea, su cui la Commissione europea ha avviato una riforma per adeguarla agli obiettivi di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, contiene norme per la prevenzione e il controllo dell’inquinamento prodotto dai grandi impianti industriali nell’aria, nell’acqua e nel suolo.

Queste ultime possono essere la causa di problemi di salute come asma, bronchite e cancro, che provocano centinaia di migliaia di morti premature ogni anno nell’Ue. Questa normativa fa parte della trasformazione verde e circolare dell’industria europea, con lo scopo di apportare notevoli benefici alla salute dei cittadini e all’ambiente. La direttiva attualmente in vigore riguarda oltre 50mila impianti situati nei paesi dell’Unione europea, responsabili collettivamente dell’emissione del 20 per cento di tutti gli inquinanti nell’aria e nell’acqua e del 40 per cento delle emissioni di gas serra nella Ue.

Centrali elettriche, raffinerie, impianti per il trattamento e l’incenerimento dei rifiuti, per la produzione di metalli, cemento, vetro, prodotti chimici, pasta di legno e carta, alimenti e bevande e l’allevamento intensivo di suini e pollame. Secondo le norme, gli impianti devono comunicare e monitorare le loro prestazioni ambientali in base a valori limite di emissioni.

GLI OBIETTIVI AMBIENTALI SIANO SOSTENIBILI

È ben noto che i costi sanitari legati all’inquinamento di origine industriale (ossidi di zolfo, ossidi di azoto, ammonio, particolato, metano, mercurio e altri metalli pesanti) si misurano in miliardi di euro e in centinaia di migliaia di morti premature ogni anno e in danni anche per gli ecosistemi, le colture e l’ambiente. Secondo alcune stime di Bruxelles, l’aggiornamento della Direttiva comporterà benefici per la salute del valore di 7,3 miliardi di euro all’anno.

In un momento così difficile come quello attuale, in cui tante realtà produttive del settore agricolo sono costrette a fare i conti con costi di approvvigionamento e mantenimento esorbitanti, il voto del Parlamento ha scongiurato una grave ingiustizia che avrebbe rischiato di mettere a repentaglio le filiere italiane tradizionalmente più sostenibili e di qualità.